Investimenti pubblici: più pro che contro per la macroeconomia

Luca Pezzotta

21 Ottobre 2014 - 16:30

Mentre tutto quello che è “pubblico” viene ultimamente demonizzato, il WEO del FMI sostiene che gli investimenti pubblici hanno effetti macroeconomici benefici sulla produzione e sul debito anche qualora fossero proprio finanziati a debito.

Investimenti pubblici: più pro che contro per la macroeconomia

Come riportava un interessante articolo dell’economista italiano Francesco Saraceno di qualche giorno addietro, è recentemente uscito lo World Economic Outlook (WEO) del Fondo Monetario Internazionale (FMI) dal titolo “Legacies, Clouds, Uncertainties”, in cui troviamo un interessante terzo capitolo che affronta come tema la possibilità di “spingere” sulle infrastrutture e gli effetti macroeconomici degli investimenti pubblici: “Is It Time for an Infrastructure Push? The Macroeconomic Effects of Public Investment” – È tempo per una spinta alle infrastrutture? Gli effetti macroeconomici degli investimenti pubblici. Non valuteremo gli altri capitoli e nemmeno tutto lo stesso capitolo terzo, ma ci limiteremo a prendere in considerazioni le parti che interessano.

La prima cosa che riportiamo è un grafico (sotto) che mette in luce come, all’interno delle economie del G7, l’Italia sia il paese che ha le peggiori infrastrutture nel complesso (Overall Quality – Qualità complessiva) e anche la peggiore qualità delle strade (Quality of Roads – Qualità delle strade) . Per cui è abbastanza evidente - senza ulteriore verifica - che se c’è un paese che necessiterebbe di investimenti pubblici in infrastrutture, per ridurre il gap qualitativo con le altre economie prese in considerazione, sarebbe proprio l’Italia. Notiamo tra l’altro, per l’Italia, che mentre nel 2009 e nel 2010 la qualità complessiva è aumentata, nel 2011 e nel 2012 è diminuita; segno di un ulteriore deterioramento di infrastrutture che già prima non potevano dirsi “sufficienti”, soprattutto se comparate a quelle degli altri paesi del G7.

Ma a parte il fatto, abbastanza notorio, che l’Italia non “brilli” come infrastrutture, quello su cui si vorrebbe porre l’attenzione sono gli effetti macroeconomici degli investimenti per infrastrutture. Il report di cui trattasi, al capitolo detto, infatti, è abbastanza esplicito nel sostenere che un aumento degli investimenti pubblici in infrastrutture, influenza la produzione sia nel breve periodo, stimolando la domanda aggregata attraverso il moltiplicatore fiscale e potenzialmente favorendo l’aumento dell’investimento privato; che nel lungo periodo, espandendo la capacità produttiva dell’economia proprio grazie ad un maggiore “stock” di infrastrutture. Naturalmente la risposta macroeconomica è “modellata” da diversi fattori tra i quali il grado di ristagno economico, la politica monetaria nel breve periodo e la stessa efficienza degli investimenti pubblici nel lungo periodo.

Lo studio continua, dopo aver specificato i criteri di analisi e gli approcci utilizzati, valutando l’impatto di uno “shock” da investimenti pubblici, nell’ordine di una crescita degli investimenti pubblici dell’uno percento del PIL, sia nelle economie avanzate che nei paesi in via di sviluppo; e valuta l’impatto dello stesso sulla produzione (Output), sul debito (Debt) e sugli investimenti privati (Private Investment), in percentuale del PIL. I risultati di uno ”shock” da investimenti pubblici nelle economie avanzate è riportato nel seguente grafico.

Come si può notare anche dal commento riportato nel grafico stesso, gli shock da investimenti pubblici hanno effetti statisticamente significativi e duraturi sulla produzione (Output) con un aumento dello 0,4% del PIL nel primo anno fino al 1,5% del quarto anno nel caso di specie; riducono il rapporto debito/PIL (Debt), anche se in modo statisticamente significativo solo nel breve periodo; mentre l’effetto sugli investimenti privati in percentuale del PIL (Private Investment) non è significativo, ma si suppone che un aumento degli stessi segua di pari passo l’aumento del PIL dovuto agli investimenti pubblici.

Di poi, lo studio, di cui questo articolo tratta e spiega molto poco, se non praticamente quasi nulla, ma che, sostanzialmente, si basa sulla “ufficialità” della fonte stessa da cui arriva, cioè il FMI, prende in considerazione gli effetti degli investimenti pubblici, su produzione e debito, nelle economie avanzate in relazione alle condizioni economiche, all’efficienza degli investimenti ed al modo in cui vengono finanziati. Vediamo il grafico senza “fasciarci” la testa.

Abbiamo sempre la produzione (Output) ed il debito (Debt), ciascuno con due “sottocolonne” (per un totale di quattro) e tre linee o righe: Crescita (Growth), Efficienza (Efficiency) e, nella terza linea, i modi di finanziamento, a debito (Debt Financed) o con budget neutro (Budget Neutral). Nella prima linea – figure da 1 a 4 - abbiamo la crescita. Nella prima linea alla prima sottocolonna l’effetto sulla produzione di un aumento degli investimenti (sempre dell’uno percento del PIL) in caso di un periodo di bassa crescita (Low Growth – figura 1); nella seconda sottocolonna l’effetto in caso di alta crescita (High Growth – figura 2); nella terza e quarta sottocolonna (figura 3 e 4) gli effetti dell’aumento degli investimenti pubblici sul debito in caso di bassa e alta crescita. Come si può notare, gli investimenti pubblici hanno un impatto migliore sulla produzione e sulla diminuzione del debito proprio nei periodi di bassa crescita e ristagno economico.

Saltiamo l’efficienza (figure da 5 a 8) solo segnalando che è intuitivo il fatto che un investimento più efficiente dia risultati migliori; ma rimarchiamo che anche in questo caso l’efficienza ha – diciamo – una migliore “marginalità” in periodi di bassa crescita.

Mentre vediamo, infine, il modo di finanziamento che risulta essere molto interessante. Infatti notiamo che l’andamento della produzione (Output) dovuto ad un aumento degli investimenti pubblici finanziato a debito (figura 9) è “migliore” di quello finanziato con budget neutro (figura 10). E così è anche per il debito (Debt). Infatti la diminuzione del rapporto debito/PIL è maggiore nel caso di investimenti pubblici finanziamenti a debito (figura 11) piuttosto che nel caso di budget neutro (figura 12). Pertanto, gli investimenti pubblici che risultano avere effetti migliori sono quelli finanziati a debito invece che quelli a budget neutro.

Di poi il WEO inserisce in un modello le attuali condizioni economiche per fare una simulazione, ma questa parte, pur interessante, come altre, viene solo menzionata ora per sottolineare che tra le “condizioni” inserite nel modello c’è “una politica monetaria accomodante”; in quanto con tale “locuzione” si intende una politica di tassi di interesse a zero molto simile, se non identica, a quella voluta dalla BCE a presidenza di Mario Draghi. Questo per sottolineare che, comunque, la politica di bassi tassi adottata dalla BCE avrebbe potuto giocare un ruolo positivo nel caso di investimenti pubblici come dimostrato poi dalla simulazione con il modello. Purtroppo, invece, gli investimenti pubblici sono stati “fermati” dai vincoli di bilancio e dall’austerità.

In conclusione, abbiamo visto che l’Italia ha bisogno di infrastrutture, che gli investimenti pubblici per infrastrutture hanno buoni effetti nel favorire la produzione e quindi la crescita sia nel breve che nel medio periodo; nel diminuire in modo statisticamente significativo il debito/PIL, soprattutto nel breve periodo; e che, addirittura, gli investimenti pubblici che danno “risultati” migliori, sia in termini di crescita che di riduzione del debito, sono quelli finanziati a debito. E tutto questo lo apprendiamo da un report del FMI che fino a ieri ha imposto, di concerto con il resto della Troika, misure di austerità; ed in mezzo ad una informazione massmediatica che tende a “demonizzare” l’investimento pubblico. Se a quanto appena detto aggiungiamo che abbiamo una crescita sottozero ed un politica monetaria “accomodante” della BCE, abbiamo le condizioni in cui gli investimenti pubblici potrebbero dare i risultati migliori (secondo i dati riportati nel WEO del FMI, non secondo chi scrive); cioè periodi di bassa crescita e pure di politiche monetarie “facilitanti” come quelle che si utilizzano nel modello, che permettono comunque un debito a costi “contenuti” visti i bassi tassi e con la conseguenza, quindi, che gli investimenti stessi potevano essere tranquillamente finanziati a debito, con risultati addirittura migliori che se fossero stati finanziati con budget neutro. Nonostante questo e nonostante sia ormai abbastanza chiaro che le misure fino qui implementate non funzionano, si prosegue sempre nella stessa direzione, preferendo tagliare tutto ciò che è possibile tagliare, piuttosto che provare a valutare la bontà di una serie di “investimenti” che, qualora pure fossero finanziati a debito, visto quanto esposto, potrebbero avere dei risultati migliori.

Accesso completo a tutti gli articoli di Money.it

A partire da
€ 9.90 al mese

Abbonati ora

Iscriviti a Money.it