Digital Scenario

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di Matteo Pogliani

Influencer Marketing e B2B: si può fare!

Matteo Pogliani

29 ottobre 2020

Influencer Marketing e B2B: si può fare!

L’influencer marketing offre infinite possibilità ai brand per raggiungere i propri obiettivi di comunicazione, anche e soprattutto nel segmento B2B.

Troppo spesso brand e marketer cadono nell’errore di immaginare l’influencer marketing esclusivamente come uno strumento B2C. Innegabile come le campagne con creator e influencer abbia un grande impatto per questo tipo di aziende, ma non è certo da considerarsi come un unicum.

L’influencer marketing, quando correttamente utilizzato, si dimostra molto utile anche nel raggiungimento di obiettivi B2B, offrendo ai brand opportunità difficilmente riscontrabili in altri strumenti. Certo, l’influencer marketing businessto-business non è una novità, ma ancora troppo spesso fatica ad essere considerato ed applicato ampiamente. Ma quali sono le motivazioni alla base di tutto questo e come poterle risolvere? Cerchiamo di analizzarle insieme.

Uno strumento ancora poco conosciuto

Lavorare con gli influencer è cosa relativamente nuova per le aziende B2B, elemento che è alla base di molte delle errate percezione e dei luoghi comuni che ne conseguono. Una disabitudine che porta con sé anche un approccio ancora poco strategico: le attivazioni degli influencer sono spesso one shot, slegate le une dalle altre e senza un filo conduttore che le renda davvero valore aggiunto per la comunicazione di brand. Un approccio già di per sé poco funzionale nel B2C ma che nel mercato business diventa ancora più penalizzante, lasciando per strada elementi decisivi come la credibilità e il trust, difficilmente comunicabili con qualche singolo contenuto. Un utilizzo da “media” che poco collega alle attività su cui, lato B2B, bisognerebbe lavorare come branded content, white paper, webinar. A guidare è sempre e comunque la strategia, mai dimenticarlo.

Un assente illustre: la tecnologia

Un altro elemento che condiziona negativamente le campagne B2B è la mancanza, spesso totale, di un approccio e di strumenti data-driven, supporti tecnologici fondamentali per effettuare la selezione dei giusti influencer e, soprattutto, analizzarne approfonditamente performance e caratteristiche di audience. Un aiuto spesso indispensabile per riuscire a coinvolgere le giuste figure nel progetto, una necessità che ha ancora maggior peso nel B2B. Dati come l’età o gli interessi della fanbase ad esempio o, ancora più rilevante, la reputazione online del creator, elemento determinante quando parliamo di credibilità e autorevolezza. Ad emergere è quindi la necessità di investire risorse, costi spesso molto più ridotti di quelli che rischiamo di perdere con una campagna errata.

Con la pandemia si rafforza la necessità di relazionarsi online

È innegabile come il Covid ci abbia costretto a ripensare in modo netto il nostro modo di socializzare e rapportarsi con le altre persone, clienti inclusi. L’impossibilità di fissare appuntamenti di persona, prassi ancora primaria per molti professionisti, ha spinto ad una maggiore consapevolezza sull’adozione di strumenti digitali, tool di videocall su tutti. L’utilizzo di attività con figure riconoscibili e apprezzate come gli influencer diventa un modo per non perdere il valore del person to person, mantenendo al centro il lato umano della comunicazione. Una via per far entrare in relazione, grazie all’autorevolezza e alla competenza degli opinion leader, brand e possibili clienti, favorendo conseguentemente tutte le attività di business. Ne deriva un dialogo con un alto grado di know-how in cui diventa più facile poter illustrare e far apprezzare quanto di buono il nostro brand ha da offrire.

I dipendenti, i nostri primi influencer

Molto spesso le aziende non capiscono che per coinvolgere un influencer non è necessario andare troppo lontano. Partire da chi già è coinvolto con noi e ci apprezza rappresenta spesso la scelta più facile e migliore. Un esempio è quello dei dipendenti, figure altamente competente nel settore di riferimento e, soprattutto, con una grande conoscenza della nostra realtà. Elementi determinanti quando parliamo di B2B e non sempre facile da trovare (o trasferire) a figure esterne. L’employee advocacy è un’attività che punta a far intervenire i dipendenti nella diffusione dei contenuti di brand, condividendoli nei propri profili social. La finalità è quella di generare un passaparola positivo e competente che coinvolga l’azienda.

Ne deriva una riprova sociale da chi il brand non solo lo conosce (e vive), ma è anche parte integrante della sua attività e dei suoi servizi/prodotti. Testimoni coinvolti e credibili capaci di dare un volto umano all’azienda e favorire quindi un livello di comunicazione più adatto ai canali social. Un’unica, ma importante condizione: spontaneità e realtà. Employee advocacy ha senso e crea risultati solo se siamo in grado di mantenere questi elementi. Il rischio, altrimenti, è di creare una narrazione che alla lunga farà percepire la sua scarsa aderenza alla verità con tutti i conseguenti rischi reputazionali. In un influencer marketing che va sempre più nella direzione dei micro-influencer, il coinvolgimento dei dipendenti è la sua perfetta derivazione nell’ambito B2B.

Matteo Pogliani

Partner e Digital Strategist di Openbox, agenzia specializzata in Social Media e Influencer Marketing.

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