E’ un momento nero per la rupia indiana (simbolo: INR, India Rupee) che sui mercati internazionali delle valute continua ad aggiornare nuovi minimi storici sul biglietto verde, che a sua volta è in difficoltà rispetto alle major currency dei paesi del G-10. In attesa della minute della FED di stasera e dell’ormai probabile avvio del processo di “tapering” (riduzione del piano di stimoli monetari, ndr), probabilmente a inizio settembre, le valute dei paesi emergenti stanno sperimentando un pericoloso deflusso di capitali esteri a causa delle attese di riduzione della liquidità.
La rupia indiana è la valuta emergente più in difficoltà. Ieri mattina tasso di cambio Usd-Inr è volato a 64,2, sui massimi di sempre. Negli ultimi quattro mesi il cambio si è apprezzato quasi del 20%. La scorsa settimana New Delhi è corsa ai ripari, adottando una serie di provvedimenti per cercare di frenare la caduta della moneta locale. Il 12 agosto i dazi sull’import di oro sono stati aumentati al 10% dall’8% (stessa misura per il platino), quelli sull’import di argento al 10% dal 6%.
L’obiettivo del governo indiano è tenere maggiormente sotto controllo il disavanzo della bilancia dei pagamenti, dato che negli ultimi tempi il deficit corrente è finito sotto stress proprio a causa dall’import eccessivo di alcune materie prime, oro e petrolio in primis, facendo poi crollare la rupia. Il problema maggiore per l’India deriva, però, dalle aspettative di riduzione del piano di QE della FED. Tuttavia, rispetto alla crisi valutaria del 1991, oggi l’India avrebbe riserve sufficienti per almeno 7 mesi per affrontare una situazione d’emergenza.
© RIPRODUZIONE RISERVATA