Il grande inganno dell’Intelligenza artificiale

Riccardo Lozzi

18 Ottobre 2021 - 16:28

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Lavoratori precari, sistemi tecnologici non funzionanti e investimenti da miliardi di dollari. Ecco cosa si nasconde dietro l’Intelligenza artificiale.

Il grande inganno dell’Intelligenza artificiale

L’Intelligenza artificiale rappresenta uno dei settori più importanti e affascinanti del nostro tempo, soprattutto in un’ottica in cui questa tecnologia deve essere messa a servizio di un miglioramento delle condizioni sociali, sanitarie ed economiche della popolazione mondiale.

Negli ultimi 10 anni i finanziamenti privati a favore di startup e imprese operanti in questo settore sono aumentati in maniera progressiva, con una forte accelerazione impressa in particolare nell’ultimo anno.

Come è stato evidenziato in un rapporto dell’OCSE, gli investimenti da parte dei Venture Capitalist nelle aziende dell’Intelligenza artificiale sono passati da un volume complessivo di 3 miliardi di dollari registrato nel 2012, a un valore di circa 75 miliardi di dollari nel 2020.

Questo mercato, che sta osservando un’espansione economica a ritmi elevatissimi, tuttavia nasconde una serie di pratiche poco trasparenti, dando vita a quello che potrebbe essere definito come il grande inganno dell’Intelligenza artificiale.

Cosa si nasconde dietro l’Intelligenza artificiale

Per descrivere meglio questo tipo di funzionamento è stato coniato il termine “AI washing”, riprendendo il concetto di greenwashing e applicandolo in questo caso all’Artificial Intelligence.

Vale a dire che diverse startup, per accedere a una maggiore fetta di finanziamenti, quantificabile fino al 50% in più rispetto a quelli a cui riescono ad arrivare altre società di software, dichiarano di sviluppare tecnologie di machine learning, senza però che questo sia effettivamente riscontrabile.

MMC Ventures, uno dei maggiori fondi di Venture Capital nel settore tecnologico, nel 2019 ha pubblicato un report in cui è stato rilevato come il 40% delle startup che affermavano di sviluppare soluzioni e prodotti di Intelligenza artificiale, non abbiano pubblicato alcuna prova a supporto di una reale innovazione tecnologica.

In molti dei casi riscontrati, infatti, è possibile osservare l’intervento umano da parte di lavoratori che alimentano in maniera decisiva le funzioni che dovrebbero invece essere realizzate dalle macchine autonomamente.

Le conseguenze di questo grande inganno

Le conseguenze di questo genere di pratiche scorrette si palesano in diverse forme. Da un lato le persone impiegate nel settore non sono riconosciute ufficialmente come dipendenti con queste mansioni a livello contrattuale.

Dall’altro, viene provocata una distorsione del mercato, in cui è sempre più difficile distinguere quali siano le imprese in grado di apportare una reale innovazione da quelle che invece falsificano i propri risultati.

Tra le aree in cui si è maggiormente investito nell’ultimo decennio per sviluppare soluzioni del genere, i primi due posti sono occupati dalla mobilità e dall’assistenza sanitaria. In particolare quest’ultima, nel 2020, in concomitanza con lo scoppio della pandemia da Covid-19, ha rappresentato il 16% sul totale degli investimenti a livello mondiale.

Il rischio è quindi che i risultati falsati dall’intervento umano portino a prospettive irrealistiche rispetto alla capacità informatica dell’Intelligenza artificiale attuale in settori di fondamentale importanza per la società.

L’intervento umano nelle soluzioni AI

In diversi casi, gli algoritmi che dovrebbero funzionare in maniera autonoma, non sono realmente in grado di lavorare da soli. Si passa così da una responsabilità di semplice sorveglianza a un vero e proprio intervento da parte di queste figure professionali che svolgono il lavoro delle macchine.

Come riportato da alcuni analisti, si va da situazioni in cui i lavoratori intervengono come moderatori, come nel caso di Facebook per contrastare il fenomeno delle fake news, fino all’elaborazione manuale di servizi venduti come automatizzati, tra cui, ad esempio, servizi di contabilità o di segreteria virtuale.

Nel saggio Ghost Work viene offerta un’analisi approfondita del sistema. I due autori, l’antropologa Mary L. Gray e il computer scientist Siddharta Suri, hanno introdotto la definizione di “lavoratori fantasma”, ovvero una nuova forza lavoro invisibile ma essenziale nel settore digitale, i quali fanno apparire “Internet più intelligente di quanto sia realmente”.

I lavoratori al servizio dell’Intelligenza artificiale

Nella maggior parte dei casi, si tratta di lavoratori precari con mansioni ad alto valore tecnologico. Questi però non possono contare su nessuna garanzia contrattuale, tra cui le giornate di malattia retribuite, e possono veder interrotto il proprio rapporto lavorativo senza preavviso.

Viene stimato come circa l’8% della popolazione statunitense sia stata impiegata almeno una volta in questa economia nascosta. Un numero destinato a crescere nei prossimi anni.

Inoltre, secondo Gray e Suri, in caso il settore venisse regolamentato, si potrebbero creare enormi opportunità per una crescita economica più equa e, contestualmente, il settore informatico potrebbe ulteriormente evolvere così da sviluppare realmente quanto viene promesso dalle imprese che accedono a miliardi di dollari di finanziamenti.

Allo stato attuale, invece, si è arrivati al paradosso per cui non è l’Intelligenza artificiale a essere a servizio degli uomini, ma, al contrario, sono migliaia di gig worker senza tutele che vengono sfruttati per far apparire l’AI migliore di quanto sia nella realtà dei fatti.

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