Il fallimento del Che spiegato da Regis Debray

Christian Dalenz

4 Settembre 2017 - 16:28

Cinquant’anni fa Che Guevara era sconfitto nel suo tentativo rivoluzionario in Bolivia. Uno dei suoi compagni di lotta analizzò la sconfitta

Il fallimento del Che spiegato da Regis Debray

A seguito della richiesta di alcuni lettori, pubblico la traduzione in italiano di quest’articolo recentemente comparso sul quotidiano boliviano La Razón.

Il libro “La guerrilla del Che”, la cui prima edizione fu pubblicata nel 1975, offre una possibilità unica di capire gli avvenimenti storici del tentativo rivoluzionario che avvenne in Bolivia 50 anni fa.

Il suo autore, Regis Debray, che partecipò alla stessa guerriglia, ci consegna un inestimabile punto di vista proveniente dall’ambiente di chi credette che quella del Che era una battaglia giusta, e sembra dialogare con le obiezioni fatte da chi voleva sconfiggere quell’impresa, come quelle espresse dal generale Gary Prado, capo dell’operazione militare che catturò e uccise il guerrigliero argentino, nel suo libro “La guerriglia sacrificata”.

Regis Debray in un recente ritratto.

In quel testo, Prado afferma che esiste una contraddizione evidente tra il pensiero del Che e la pratica effettivamente realizzata nella guerriglia di Ñancahuazú comandata dallo stesso rivoluzionario argentino-cubano. Per esempio, secondo quanto scrisse lo stesso Guevara nei suo libri “Guerra di guerriglie” e “Guerra di guerriglie: un metodo”:

  • un progetto guerrigliero non può avere successo se nel Paese c’è un governo eletto nelle urne (e questo era il caso del governo di Barrientos di allora);
  • non si può ottenere una vittoria senza una forte base popolare nel luogo di combattimento (anche questo mancò);
  • autostrade e ferrovie sono luoghi assolutamente strategici da conquistare (e i guerriglieri non hanno fatto lo sforzo di occuparli, secondo Prado);
  • dividere l’unità della guerriglia è proibito (e questo è ciò che fece il Che costituendo una seconda colonna comandata dal guerrigliero Joaquin).

Ernesto "Che" Guevara, quarto da destra, insieme ad altri compagni della guerriglia in Bolivia.

Debray sembra rispondere direttamente a tali dubbi di Prado, nonostante essi siano stati formulati molti anni dopo la pubblicazione di La guerriglia del Che. Questo perché l’intellettuale francese anticipa, prima di scendere nella sua analisi, la considerazione che la guerriglia boliviana non rispettò gli insegnamenti del Che.

Il marxista propose come principale spiegazione di tale divergenza la mancanza di coordinamento con le lotte popolari che allora si stavano organizzando in Bolivia, in particolare quelle del settore minerario, nell’ovest del Paese. L’assenza di una organizzazione efficace con coloro i quali soffrirono il massacro di San Juan, il 24 giugno 1967, fu la debolezza più forte della guerriglia, nonostante i minatori espressero più di una volta, in maniera formale, il loro appoggio alle operazioni del Che a Ñancahuazú.

Questa assenza si doveva principalmente, secondo Debray, alla dispersione delle forze comuniste in Bolivia. La principale responsabilità di questa situazione è identificata nel Partito Comunista Boliviano (PCB) e nel suo massimo dirigente, Mario Monje, descritto dal francese come un personaggio la cui ambizione politica distrusse gli ideali della lotta. Monje e il PCB sono considerati responsabili dell’allontanamento di altri partiti (il PRIN di Juan Lechìn Oquendo, il POR di Guillermo Lora, il PCML di Oscar Zamora) che avrebbero potuto aiutare la guerriglia e non lo fecero perché il Che si compromise con Monje e con guerriglieri provenienti dal suo partito nella fase di preparazione della lotta.

Per questa ragione non si poterono affrontare adeguatamente certi imprevisti, come l’inaspettata offensiva dell’esercito boliviano, che obbligò a cominciare la guerriglia prima di quanto programmato, e la mancanza di alimentazione adeguata. Per via di queste circostanze il Che si vide obbligato a dividere la guerriglia per poter disporre di una colonna di retroguardia (che idealmente avrebbe dovuto essere costituita dalla popolazione locale) e a cercare costantemente il cibo. Ciò impedì ai guerriglieri di occupare autostrade e ferrovie. In questo senso, si può capire perché, arrivando a Samaipata, si dedicarono a cercare alimenti e non ad occupare la nevralgica strada che si trova in quella località.

Documentario di Erik Gandini, regista anche di Videocracy, sul fallimento della guerriglia in Bolivia


Ai fini di una maggiore comprensione del testo, alcune parole chiave rimandano attraverso ipertesto ad una pagina che spieghi di cosa si sta parlando; l’edizione originale è infatti pensata per un pubblico che conosce già diversi avvenimenti storici.

Sono attualmente al lavoro su un reportage riguardante gli ultimi giorni e luoghi dell’avventura di Guevara in Bolivia. Conterrà foto e racconti. Penso sia un lavoro che otterrebbe particolare risposta nel pubblico, visto che proprio quest’anno ricorre il cinquantenario della morte del Che.

Se siete interessati a pubblicarla, scrivetemi a [email protected].

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