IVA Reverse Charge 2015: detrazione dell’imposta possibile, in caso di erronea applicazione dell’inversione contabile

Simone Casavecchia

17 Marzo 2015 - 15:57

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Una sentenza della Corte di Cassazione chiarisce che nei casi di reverse charge dove non è stata applicata l’inversione contabile è ancora possibile ricorrere alla detrazione dell’IVA.

IVA Reverse Charge 2015: detrazione dell’imposta possibile, in caso di erronea applicazione dell’inversione contabile

Con la sentenza n. 5072 del 13 Marzo scorso, emanata in chiara consonanza e applicazione dei principi espressi dalla Corte di Giustizia UE nella sentenza 11 dicembre 2014, la Corte di Cassazione ha fornito importanti chiarimenti riguardo ai casi di mancata applicazione del regime dell’inversione contabile previsto dal Reverse Charge e ha chiarito come in questi casi non possa essere negato all’operatore nazionale il diritto alla detrazione dell’IVA.

La sentenza della Corte di Cassazione offre un importante chiarimento riguardo ai casi di inversione contabile con natura formale e non sostanziale ed è stata emanata riguardo al contenzioso avviato da una società del settore vetrinario nei confronti dell’Agenzia delle Entrate.

Il caso e l’iter giudiziario
Il Fisco aveva infatti notificato alla società, con processo verbale di contestazione, due atti; successivamente, attraverso un avviso di accertamento veniva richiesto il recupero dell’IVA dovuta per l’anno 1998 e applicava le sanzioni dovute per il mancato adempimento dell’inversione contabile e per la mancata presentazione dei modelli INTRASTAT. Nella fattispecie l’Agenzia delle Entrata contestava alla società la mancata annotazione nei registri IVA delle fatture per acquisti intracomunitari emessi da una società francese e contestava che le fatture emesse da un’altra società, olandese, erano state annotate nel registro degli acquisti con l’indicazione «fuori campo IVA».
Mentre la Corte d’Appello aveva accertato, riguardo al contribuente, l’inosservanza dell’obbligo di registrazione di operazioni imponibili intracomunitarie, rilevando come la normativa vigente imponga all’acquirente, in caso di acquisti intracomunitari

  • sia l’obbligo di numerare e integrare la fattura relativa all’acquisto con tutti gli elementi che concorrevano a formare la base imponibile dell’operazione, compreso l’ammontare dell’imposta;
  • sia l’obbligo della tempestiva annotazione delle fatture come integrate distintamente nei registri;

La Corte d’Appello aveva anche specificato nel suo pronunciamento che le registrazioni omesse dalla società del settore vetrinario potevano essere considerate violazioni non formali ma sostanziali, perché potevano determinare un accertamento o una rettifica e, quindi, non potevano essere considerate come semplici anomalie formali, per cui è previsto un trattamento di favore e la procedura del condono, ma come violazioni sostanziali in grado di dar luogo a rettifiche e accertamenti.

La società sanzionata, non si è data per vinta e ha presentato ricorso in cassazione proprio rigettando il giudizio della Corte d’Appello circa la natura sostanziale della violazione configuratasi con l’omessa fatturazione e registrazione delle fatture ottenute per acquisti intracomunitari. Tale ricorso era giustificato dal fatto che , il meccanismo dell’inversione contabile impone la contestuale registrazione dell’acquisto intracomunitario nel registro delle fatture e nel registro degli acquisti e, quindi, l’inosservanza delle formalità previste per la compilazione dei registri delle fatture non poteva comunque costituire un presupposto per il versamento dell’IVA.

La doppia annotazione contabile (registro degli acquisti e registro delle vendite) equivale a una partita di giro e ha natura solo formale perché realizza la compensazione del debito fiscale che è, però solo apparente.

Gli acquisti intracomunitari generano, quindi, solo debiti e crediti apparenti e determinano obblighi formali di annotazione di una partita di giro nei due registri IVA, senza determinare conseguenze o eventuali inadempimenti sostanziali.
In questo caso, inoltre, il diritto alla detrazione non poteva essere negato, il Fisco, quindi non poteva arrogarsi il diritto di rettificare la dichiarazione IVA della società italiana che aveva acquistato i beni dall’estero, dal momento che quest’ultima aveva commesso un inadempimento solo formale.

L’omessa registrazione dell’IVA nel caso di acquisti intracomunitari si configura come un’inadempienza solo formale perché la normativa vigente consente la detrazione dell’imposta relativa agli acquisti intracomunitari.

Il ricorso in Cassazione segnalava anche che le inadempienze commesse, essendo solo di natura formale, non incidevano in alcun modo sulla liquidazione dell’IVA.
La Corte di Cassazione ha, quindi, accolto il ricorso della società veterinaria e ha sospeso il giudizio della Corte d’Appello, in ossequio alla sentenza 11 dicembre 2014, C-590/13, della Corte di Giustizia Europea. Le violazioni e le inadempienze della società veterinaria, riguardo alla mancata annotazione delle fatture nei registri non possono, quindi, essere considerate di natura sostanziale e non incidono sulla determinazione della base imponibile dell’imposta e sul versamento del tributo.

Cosa deriva dalla Sentenza della Cassazione
La sentenza della Corte di Cassazione implica che nei casi in cui un’azienda che opera in territorio nazionale che non abbia applicato o non abbia applicato correttamente la procedura dell’inversione contabile (reverse charge), con natura formale e non sostanziale, ha comunque diritto alla detrazione dell’IVA versata, in accordo con le disposizioni emanate dalla Corte di Giustizia Europea.

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