Per quali ragioni l’Ue dovrebbe consentire alla Gran Bretagna di accedere al mercato unico attraverso un accordo di libero scambio? Ecco cosa dice Hans Werner Sinn.
L’Unione Europa deve concedere l’accordo di libero scambio alla Gran Bretagna ed essere indulgente con i britannici?
È questo il quesito morale che disturba il sonno dell’establishment europeo, nei prossimi mesi impegnato nel negoziato con il Governo britannico che sancirà la Brexit.
Secondo Hans Werner Sinn - tra i più autorevoli economisti tedeschi, per anni presidente dell’Ifo di Monaco (Institute for economic research) - l’Ue commetterrebbe un gravissimo errore se si mostrasse poco clemente nei confronti della Gran Bretagna negandole, una volta formalizzata la Brexit, l’accesso al mercato unico per mezzo di un accordo di libero scambio.
Fin dall’insediamento di Theresa May al numero 10 di Downing Street, leader e Istituzioni europei, sebbene mai con esplicita chiarezza, hanno preferito attestarsi sulla linea della fermezza in merito alla Brexit.
Ai britannici, rei di aver abbandonato la nave Ue (una bagnarola meno sicura di quanto sembri), è stato promesso che in fase negoziale non gli sarà risparmiato nulla e che agli onori del mercato unico - la permanenza nel quale è il sogno recondito di May - seguirà l’onere della libera circolazione delle persone.
Su questo tedeschi, francesi, olandesi, italiani e così via sono sembrati piuttosto concordi (tenere a mente le parole di Ulrich Beck: "l’unanimità è difficile trovarla a tavola, figuriamoci in politica").
Ora, secondo Hans Werner Sinn, uno sul quale tutto si può dire tranne che non abbia a cuore le sorti dell’integrazione europea, l’Ue " deve essere generosa nei confronti dei britannici".
L’astio atavico che sta inquinando il dibattito sulla Brexit, infatti, è la cifra di un processo negoziale che l’establishment europeo, coadiuvato da una stampa internazionale allarmista e radical-europeista, ha posto su termini del tutto irrazionali.
Per l’economista tedesco è nodale che l’Ue conceda ai britannici l’accesso al mercato unico per mezzo di un accordo di libero scambio, l’unica mossa razionale prevista dalla teoria economica, se intende salvaguardare la propria credibilità. Infatti, qualora si mostrasse implacabile con i britannici, l’Ue confermerebbe la propria natura coercitiva e addio ai sogni (che in pochi sognano) di "un’unione sempre più stretta".
Brexit: perché l’accordo di libero scambio è la soluzione migliore?
Il Governo britannico ha spesso sostenuto che soluzioni alla "svizzera" o alla "norvegese" non sono praticabili. In entrambi i casi, come ricorda Sinn, i controlli effettuati dalle autorità nazionali sulle persone in entrata sono tutt’altro che capillari, il che contraddice una delle prerogative che hanno mosso la Brexit.
I leader europei intervenuti nel dibattito hanno spesso sollevato una curiosa equazione: per accedere al mercato unico con un accordo di libero scambio è inevitabile per il Governo britannico accettare la libera circolazione delle persone.
Un simile ragionamento, affermatosi oramai presso l’opinione pubblica, funge da deterrente per chiunque covi in segreto il desiderio di abbandonare l’Ue.
Per Sinn, questo atteggiamento è sbagliato non già per l’assurdo proposito di scoraggiare i membri che intendano rivedere la propria permanenza nell’Ue con la minaccia che un accesso futuro al mercato unico sia inestricabilmente legato all’osservanza del principio che vuole la libera circolazione della persone, quanto per una semplice regola economica:
"Gli effetti economici e i guadagni in termini di benessere risultanti dal libero commercio sono sostituiti, non rafforzati, da quelli connessi alla libera circolazione del fattore lavoro [quindi le persone, nda]".
Quindi, qualora l’Ue non sottoscrivesse l’accordo di libero scambio con la Gran Bretagna per ragioni connesse alla salvaguardia della libera circolazione delle persone entro i suoi confini, a pagarne le conseguenze sarebbero i cittadini europei, privati dei benifici maturati dal libero scambio con i prodotti e i servizi britannici.
La ricetta di Sinn per uscire dall’impasse
Per Sinn, l’incapacità dell’establishment europeo nel procedere nella direzione dell’accordo di libero scambio con la Gran Bretagna è dovuta all’architettura decisionale europea e, se vogliamo, all’essenza ibrida che contraddistingue l’Ue come organizzazione sovranazionale.
L’economista evidenzia due diverse forme di comunità politica:
- La prima, vicina alla logica Paretiana, è una comunità in cui l’esito dei rapporti tra membri è a somma positiva. Di fatto non vi sono perdenti all’interno di questa comunità. Sinn parla di una comunità in cui i membri che la compongono non si azzannano "per il pezzo di torta più grande perché lavorano insieme su basi volontarie";
- La seconda è una comunità che assomiglia all’Ue di Maastricht, ed è un insieme di Paesi che basa la propria disciplina interna su metodi di voto a maggioranza, il che significa che il gioco è a somma zero. In questa comunità si relazionano vincenti e perdenti. Lo scontro è dettato dalla necessità di ognuno di migliorare la propria posizione independentemente dalla salute dell’altro. Per rimanere con l’analogia di Sinn, i membri di questa comunità cercano sempre il pezzo più grande della torta.
L’analisi di Sinn verte sulla constatazione che l’Ue sta intimando alla Gran Bretagna - negandole l’accordo di libero scambio - che il gioco delle parti con Bruxelles produce sempre un vincente e un perdente.
Ciò è deleterio per la stessa sopravvivenza dell’Ue, che invece dovrebbe per l’economista avvalersi dei tratti somatici della comunità paretiana e concedere, per mezzo di un ministero delle finanze europeo, il tanto reclamato accordo di libero scambio alla Gran Bretagna e garantirle così accesso al mercato unico.
Il rischio che l’Ue diventi una "comunità non consensuale", dove coabitano membri a cui tutto è concesso e altri in balia assoluta della circostanze, è per Sinn molto più che una possibilità.
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