Mercati finanziari troppo concentrati per colpa della globalizzazione

Mattia Prando

7 Gennaio 2019 - 11:03

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L’eccessiva globalizzazione dei mercati finanziari ha generato agglomerati oligopolistici che rischiano di rendere le performance dei trader più vulnerabili agli shock di una singola azienda. L’asset allocation è oggi una disciplina molto più complessa rispetto al passato. Money.it ne ha parlato con Saverio Berlinzani

Mercati finanziari troppo concentrati per colpa della globalizzazione

Il fenomeno della globalizzazione ha avuto un impatto positivo o negativo sulle performance dei mercati finanziari internazionali nell’ultimo ventennio?

Difficile rispondere a questo quesito, tanto generale quanto delicato. Certo è, lo dicono i dati, che l’unificazione dei mercati a livello globale ha portato con se una sempre minor correlazione (o decorellazione) delle performance fra le principali asset class del globo e una maggior velocità di reazione degli shock esterni da parte dei prezzi.

Abbiamo approfondito questi temi con Saverio Berlinzani, trader privato di lungo corso che ha studiato ed approfondito l’impatto della globalizzazione sui mercati finanziari globali.

Saverio Berlinzani, trader indipendente

Dott. Berlinzani, che impatto ha il continuo processo di globalizzazione sui mercati finanziari?

Questo è un mercato che da qualche anno ha qualche problema strutturale: la globalizzazione fa in modo che non vi sia più una diversificazione coerente dei vari asset. Questo è un problema, in quanto si formano degli oligopoli che mettono in luce l’effetto perverso di questa globalizzazione che nei precedenti anni, in particolar modo tra il 1990 e il 2007, ha avuto effetti positivi. Per fare un esempio: negli anni ’80 erano presenti circa 700 aziende del comparto farmaceutico nel mondo. Ad oggi con le fusioni tra Bayern e Monsanto, tra Syngenta e ChemChyna e quella tra Dow Chemical e DuPont ci si ritrova fondamentalmente con tre società farmaceutiche che detengono il 45-50% della propria quota di mercato. A ciò si aggiungono una serie di piccole aziende satellite che cercano di “raccogliere le briciole”. La situazione è tale che se una di queste grandi imprese crolla si avranno ricadute con effetto domino sui mercati finanziari globali.

Quali sono le principali differenze con il passato?

Una volta si poteva eseguire un asset allocation migliore: ad oggi ciò risulta estremamente più difficile, in quanto la diversificazione settoriale è sparita, facendo comparire una generale alternanza fra fasi di risk-on e altre di risk-off. Ciò crea diversi problemi, come si è visto nei giorni scorsi con il flash crash del cambio Usd/Jpy, se delle stime sui ricavi inferiori alle attese di una singola entità come Apple, che per quanto capitalizzata rimane una singola azienda, fa crollare un mercato che muove 2.000 miliardi di dollari al giorno, è chiaro che c’è qualcosa che non va. Questi cedimenti improvvisi rischiano quindi di rendere i mercati inefficienti nel medio termine. Si deve capire che l’estremizzazione della globalizzazione crea degli agglomerati oligopolistici e monopolistici che rischiano di divenire “too big to fail”, come si è visto nel 2009, quando questo fenomeno si è vissuto sulle banche.

La globalizzazione ha avuto anche effetti positivi sui mercati?

Gli effetti positivi della globalizzazione dipendono in particolar modo dalle economie di scala e dall’aumento dei profitti aziendali, con conseguente incremento del valore di Borsa. Questo fatto è testimoniato dal costante mercato in uptrend che abbiamo vissuto per molti anni. Il problema è appunto quello relativo al fatto che il crollo di una società di grandi dimensioni trascina a cascata tutto il mercato. L’assenza di parcellizzazione, che è legata al concetto di rischio crea una situazione di uniformità che può creare diversi problemi importanti.

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