Intervista ad Antonella Palumbo, professore associato di Politica Economica presso l’Università Roma Tre sul tema del rapporto tra l’euro e l’Italia.
Forexinfo intervista Antonella Palumbo, professore associato di Politica Economica presso l’Università Roma Tre.
Direttamente dal nostro sito, è possibile accedere alla lettura del contributo della professoressa Palumbo, pubblicato nell’ebook "Oltre l’austerità" e intitolato Austerità, salari e stato sociale: quale spesa pubblica?.
Avendo come riferimento le osservazioni della professoressa pubblicate nel contributo di cui sopra, ma anche alle luce dei più recenti eventi economici che ci circondano, abbiamo realizzato la seguente intervista.
Ecco come la professoressa Palumbo ha risposto alle nostre domande.
1) Nel suo contributo presente nell’ebook “Oltre l’austerità”, Lei dichiara, “La strada maestra per uscire dalla recessione che sta attanagliando l’Europa, al di là della pur necessaria revisione degli assetti istituzionali europei al fine di rendere possibile la realizzazione di una maggiore domanda, sta in primo luogo nell’individuazione della fonte da cui questa maggiore domanda possa e debba stabilmente prodursi”. Quali potrebbero essere quindi secondo Lei i possibili modi per uscire dall’attuale recessione e per rilanciare i consumi? La spesa pubblica sarebbe l’unica fonte di domanda capace di fare ciò?
R. A questa domanda non si possono dare risposte astratte e generali. È sempre vero che in un sistema capitalistico è possibile e conveniente produrre, per le imprese, soltanto quando c’è una sufficiente domanda che assorba i prodotti. Ma quando siamo di fronte a una stagnazione della domanda, come avviene in Europa da diverso tempo e ultimamente in forma sempre più grave, non esiste una sola risposta generale alla questione "dove trovare una fonte di domanda che riesca a rilanciare e sostenere l’economia europea?" Un’analisi della situazione attuale spinge me, insieme a tanti altri commentatori, a sostenere che in questo momento l’unica possibilità è che lo stato e le pubbliche amministrazioni svolgano un ruolo attivo e propulsivo. Questo dipende dalla particolare situazione delle imprese, che non è favorevole a una ripresa spontanea degli investimenti, all’impoverimento delle famiglie dei ceti medi e medio-bassi, che rende irrealistico attendersi un aumento dei consumi, al fatto che le esportazioni, che pure reggono abbastanza in Italia e anche in Europa in generale, non sono comunque in grado di trainare la crescita di un’economia così grande come quella europea. Un forte aumento della domanda pubblica, che non sempre è la panacea di tutti i mali, in questo momento è dunque indispensabile se si vuole salvare l’economia europea dal collasso e le società europee dal forte disagio sociale che le attraversa.
2) Nello stesso contributo di cui sopra, Lei sostiene anche che l’uscita dell’Italia dall’euro produrrebbe un deterioramento delle ragioni di scambio e una perdita di potere d’acquisto del salario italiano rispetto alle merci internazionali. Lei è quindi contraria a questa possibilità?
R. Sì, sono contraria. Come molti altri osservatori, penso che l’euro sia ancora una opportunità per l’Italia e che gli errori di gestione delle politiche dell’Unione che si sono registrati fino a questo momento non pregiudichino la possibilità di un drastico cambio di rotta. Dentro l’euro facciamo parte di un’economia vasta e integrata, pochissimo dipendente dall’esterno e in grado di produrre internamente quasi tutto ciò di cui ha bisogno. Ricordando la storia dello sviluppo italiano del dopoguerra, dobbiamo considerare quanto pressante sia stato il vincolo estero e quanto spesso ci abbia costretto a rallentare o abbia causato squilibri nella crescita. Far parte di un’area che potrebbe non avere il problema del vincolo estero è un indubbio vantaggio. Certo, a due condizioni: che la Banca Centrale Europea sia messa in grado di fare il suo mestiere di garante dei debiti pubblici nazionali, e che le politiche dell’Unione subiscano una decisa virata in direzione dell’espansione del prodotto e dell’occupazione. Le politiche europee non andrebbero subite, ma negoziate.
3) L’attuale situazione politica italiana rischia di finire nuovamente in caos, considerando le più recenti vicissitudini dal punto di vista politico. Esiste la possibilità per l’Italia di richiedere aiuti alla Bce come ha fatto ed ottenuto la Grecia? Cosa ci impedisce di farlo?
R. Al momento è un’opzione molto poco conveniente. Gli aiuti finanziari della BCE e dell’Unione sono condizionati al rispetto di una serie stringente di impegni che vanno tutti nella direzione di rafforzare le politiche di austerità. Sebbene il nostro attuale governo stia già adottando questo genere di politiche, gli spazi di manovra si ridurrebbero ulteriormente, e si ridurrebbe sopratutto lo spazio per una qualsiasi possibilità di espansione in futuro. L’aiuto finanziario ricevuto servirebbe in queste condizioni ad allentare la tensione sul debito pubblico italiano soltanto, eventualmente, nel breve periodo, ma non a risolvere i problemi di crescita dell’economia italiana, anzi ad aggravarli. L’austerità sempre più dura non è solo insostenibile socialmente, è controproducente anche dal punto di vista macroeconomico. Il risultato paradossale del legarsi a politiche di austerità sempre più dure è la totale incapacità di tenere sotto controllo sia i conti pubblici che lo spread. Il caso della Grecia mi sembra esemplare.
4) Si sente parlare tantissimo in questo periodo di Keynes e del suo modello come soluzione alla crisi che stiamo vivendo. Ma la soluzione keynesiana, una valida risposta alla recessione, risolverebbe la particolare connotazione della crisi che attanaglia le economie europee allo stato attuale? E in caso positivo, sarebbe una soluzione definitiva o solo una medicina momentanea che poi farebbe crollare nuovamente tutto?
R. Prima di tutto bisognerebbe essere chiari su cosa si intende quando si auspica un ritorno a Keynes. Spesso la teoria di Keynes e le sue prescrizioni di politica economica vengono interpretate come se implicassero un intervento dello stato limitatamente ai casi in cui un’economia si trovi in grave recessione. Si tratterebbe allora di adottare misure straordinarie di espansione della spesa pubblica e riduzione delle tasse per creare uno stimolo momentaneo, e poi di ritirare questo intervento straordinario non appena possibile. Su questo ci sono due considerazioni da fare: la prima è che le economie europee stanno adottando la politica diametralmente opposta, quindi come già detto non dovrebbe destare meraviglia il fatto che la recessione si avvita sempre più su se stessa dato che le politiche di taglio alla spesa e aumento delle tasse hanno necessariamente un effetto recessivo. La seconda considerazione riguarda il vero contenuto della teoria di Keynes e della sua proposta di politica economica: questo era in realtà molto più radicale, ed ha a che fare con la cronica incapacità di un sistema di mercato non regolato di garantire un livello sufficiente di attività economica e di impiego delle risorse produttive. La teoria di Keynes mostra che l’esistenza di disoccupazione è un risultato normale e inevitabile del funzionamento del sistema capitalistico, a meno che l’operatore pubblico non fornisca strutturalmente un’adeguata domanda pubblica per compensare il deficit della domanda privata. Dunque la presenza pubblica nell’economia è utile e necessaria nel lungo periodo, anzi costituisce l’unico modo di garantire a un’economia un livello sufficiente di attività. Dobbiamo aggiungere però a questo principio generale due qualificazioni. In primo luogo, come aveva già notato Keynes e come l’esperienza storica ci dimostra, non tutte le manovre pubbliche sono uguali ed è necessaria un’accurata analisi della situazione per identificare quei tipi di spesa pubblica che al tempo stesso siano dotati di alto potenziale espansivo e producano servizi pubblici efficienti e aumento del benessere collettivo. In secondo luogo, un sistema capitalistico è necessariamente attraversato dal conflitto. Sarebbe ingenuo credere che la ricerca di un elevato livello di attività economica e la lotta alla disoccupazione siano obiettivi universali condivisibili da tutte le parti della società, e il compito dell’operatore pubblico è anche questo, trovare le forme e i modi per realizzare obiettivi socialmente desiderabili governando gli inevitabili conflitti che ne scaturiscono, prima di tutto quello distributivo.
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