Antonella Stirati: bisogna passare da politiche di austerità a politiche espansive

Erika Di Dio

10/12/2012

Intervista ad Antonella Stirati, professore ordinario di Economia presso l’Università Roma Tre che ci parla delle politiche di austerità da superare.

Antonella Stirati: bisogna passare da politiche di austerità a politiche espansive

Forexinfo.it intervista Antonella Stirati, professore ordinario di Economia presso l’Università Roma Tre.

Sul nostro sito è possibile leggere il contributo della professoressa Stirati contenuto nell’ebook "Oltre l’austerità" e dal titolo Crescita e riforma del mercato del lavoro.

In relazione al contributo di cui sopra ma anche in merito alle più recenti vicende economiche nazionali ed internazionali, abbiamo intervistato la professoressa Stirati che ha risposto così alle nostre domande.

1) Nella sua analisi sul mercato del lavoro esposta nell’ebook “Oltre l’austerità”, viene spesso sottolineata l’inutilità di tutte quelle politiche in teoria orientate alla crescita del nostro paese (e della zona euro più in generale) e fra queste soprattutto una maggiore flessibilità del lavoro, ma che in realtà “non hanno avuto effetti positivi sulla crescita, ma anzi hanno alimentato la recessione e la crisi”. Detto questo, verso quali politiche Lei pensa ci si potrebbe invece indirizzare per realizzare ciò che finora e con le politiche attuali ancora non si è riusciti a fare?

R. La priorità assoluta perché possa riprendere la crescita in Italia e in Europa è far ripartire la domanda, e questo a sua volta richiede che si inverta completamente l’orientamento della politica macroeconomica, che si passi da politiche di austerità a politiche espansive. Con un intervento della BCE analogo a quello delle banche centrali di altri paesi (USA, UK, JA) si potrebbero ottenere bassi tassi di interesse sul debito pubblico per tutti i paesi europei, e al contempo avere politiche di stabilizzazione (invece che di riduzione) dei debiti pubblici. Basterebbe questo a consentire politiche fiscali capaci di dare un impulso all’economia. Sarebbe poi ancora meglio se si tenessero gli investimenti pubblici fuori dai vincoli (sia pure attenuati) della spesa pubblica, agevolandone il finanziamento.
Senza questo la crescita non è possibile: è falso che si possa coniugare crescita e “rigore” inteso come politiche di pesanti tagli di spesa e aumenti delle tasse. Tali politiche peraltro, proprio perché fanno cadere il PIL, non riescono nemmeno a migliorare i conti pubblici, come ormai ammesso anche dal Fondo Monetario Internazionale. Sarebbe di aiuto alla crescita anche una politica salariale espansiva in tutti i paesi, e soprattutto in quelli che hanno un surplus di bilancia commerciale, come la Germania.
In un contesto di espansione piuttosto che di austerità, l’Italia (le sue classi dirigenti e le parti sociali) dovrebbe poi darsi un disegno di politica di sviluppo e industriale: dobbiamo aumentare le esportazioni e/o ridurre le importazione per correggere il disavanzo con l’estero e poter creare e mantenere un più alto livello di occupazione.
Mi sembra però sempre più evidente che ciò che manca in Europa non sono gli strumenti tecnici o una cultura economica meno legata a modelli fallimentari: ciò che manca è la volontà politica di uscire da questa crisi senza aver prima smantellato gran parte di quel ‘modello sociale’ che è stato un fattore centrale di progresso dei paesi Europei nel secolo scorso. Per uscire dall’emergenza della crisi basterebbe essere un po’ più come Obama-Bernanke. Niente di rivoluzionario, e niente che non sia già noto.

2) Nel suo contributo, Lei parla anche di un possibile scenario negativo per la Germania, paese in cui la disoccupazione potrà crescere “quando le sue esportazioni verso il resto dell’Eurozona cominceranno a diminuire a causa della recessione indotta negli altri paesi dalle politiche di austerità”. Quale pensa sarà lo scenario che dovrà affrontare la Germania nel 2013? Sarà trascinata dal vortice recessivo del resto d’Europa o il peggio, come molti iniziano a dire, è davvero passato e la strada inizierà ad essere in salita in generale per tutta la zona euro?

R. Per quanto riguarda lo scenario generale non credo affatto che il peggio sia passato – credo che, a meno di una inversione di rotta nelle politiche economiche, la situazione continuerà a peggiorare nei paesi della “periferia” Europea. In Italia in particolare credo che le stime di recessione intorno a -0,7% per il 2013 siano molto ottimiste, e credo che la caduta del PIL sarà maggiore, come fa presagire la caduta dei consumi e degli investimenti privati a cui stiamo assistendo. Per quanto riguarda la Germania le previsioni sono più complesse. E’ vero che già ora la produzione industriale sta registrando un rallentamento che sembra da attribuire alla caduta del reddito e quindi delle importazioni dalla Germania negli altri paesi europei (l’export verso l’Europa rappresentava circa il 60% del totale delle esportazioni tedesche prima della crisi, ora il suo peso è diminuito ma è pur sempre molto rilevante). D’altro lato però è evidente che la Germania punta ad espandere le proprie esportazioni verso est, ed inoltre che il crollo dei sistemi produttivi dei paesi Europei apre grandi opportunità di acquisizione di imprese e/o di mercati ai capitali tedeschi o ai capitali più forti quale che sia la loro provenienza (in Italia la produzione industriale è diminuita del 25% rispetto al 2008 – una caduta spaventosa, i cui effetti su occupazione e capacità produttiva non si sono ancora manifestati pienamente, e lo faranno nel prossimo futuro). In questo quadro non mi sento di azzardare previsioni su: a) quanto soffrirà l’economia tedesca delle politiche di austerità imposte agli altri paesi europei; b) se la recessione in Germania, quando anche fosse di una certa intensità, potrà portare a modificare l’orientamento rispetto alla politica economica europea del governo tedesco. Del resto, anche i governi dei paesi in difficoltà hanno sinora avuto posizioni di subalternità o complicità rispetto a quelle politiche. Si potrebbe pensare che almeno in parte ne condividano il disegno di ridurre drasticamente lo stato sociale e le garanzie del lavoro. Credo che molto dipenderà dalla capacità dei popoli europei di reagire e dalla direzione, progressista o di destra, che prenderà tale reazione popolare.

3) A causa della sovranità monetaria che è venuta a mancare con l’avvento dell’euro, ci si è ritrovati nella situazione di crisi attuale. L’euro, come si sa, ha portato inizialmente a dei vantaggi e poi a degli innumerevoli svantaggi che diventano sempre più noti. Lei ritiene quindi che un’uscita dall’euro e un ritorno alle varie sovranità nazionali potrebbe porre fine a tutti i problemi attuali?

R. Da un punto di vista “tecnico” l’uscita dalla recessione sarebbe di gran lunga più facile se fosse la zone euro nel suo insieme a coordinarsi per la realizzazione di politiche espansive, facilitate da appropriate politiche della BCE. Tuttavia credo che purtroppo non ci sia in Europa la volontà politica di cambiare. E purtroppo per l’Italia e gli altri paesi Europei in difficoltà non c’è molto tempo, perché continuare con le politiche attuali provoca devastazioni economiche e sociali enormi, e fare politiche diverse senza disporre della collaborazione della politica monetaria è estremamente difficile. Se non si verifica rapidamente un cambiamento in Europa questi paesi si troveranno quindi a scegliere tra un terribile arretramento sociale ed economico insieme allo svuotamento della democrazia oppure l’uscita dall’euro. Quest’ultima però non è certo una panacea, anzi creerà certamente dei problemi, più o meno elevati a seconda dei paesi, ma che potrebbero essere alla fine minori di quelli di restare nell’euro – in particolare per l’Italia, il cui settore manifatturiero di esportazione ha retto abbastanza bene.

4) Ci si interroga spesso sulla possibilità o meno di un’eventuale cancellazione del debito pubblico: azzerare tutto e ricominciare daccapo. Questa è un’idea che molti economisti caldeggiano, non ultimi due economisti del Fondo Monetario Internazionale che hanno dichiarato che sarebbe possibile “cancellare il 100% del debito del Pil, incoraggiare la crescita, stabilizzare i prezzi e detronizzare i banchieri tutto insieme”. Secondo Lei, questa potrebbe essere un’opzione da prendere in considerazione oppure si tratta solo di pura utopia?

R. Io guardo con molta diffidenza alle ipotesi di cancellazione del debito pubblico per vari motivi. Innanzi tutto perché credo che in generale la crescita economica e uno stato sociale che garantisca alcuni fondamentali diritti (istruzione e sanità per esempio) richiedono l’intervento pubblico e ciò a sua volta richiede che lo stato possa indebitarsi, cioè possa chiedere soldi in prestito ai propri cittadini e banche. Se si cancella il debito, questa possibilità sarà preclusa perché nessuno vorrà più acquistare i titoli, e d’altra parte se si rimane nell’ euro, non sarà nemmeno possibile ricorrere al finanziamento del debito pubblico da parte della Banca centrale – ci sarebbe quindi l’obbligo DI FATTO al pareggio di bilancio. Credo invece che noi questo vincolo al pareggio di bilancio abbiamo bisogno di rimuoverlo. Quindi la ragione principale di opposizione alla cancellazione del debito pubblico è che toglierebbe strumenti e flessibilità alle politiche di spesa pubblica. A questo si aggiunge che: a) molti semplici cittadini: lavoratori, pensionati ecc hanno i propri risparmi di una vita investiti in titoli pubblici – cancellare quel debito è improponibile e avrebbe conseguenze inaccettabili, non solo di equità ma di sostenibilità economica. In secondo luogo le banche, soprattutto italiane, fallirebbero, e siccome una economia industrializzata ha bisogno del credito, bisognerebbe nazionalizzarle e rifinanziarle per evitare il caos – e quindi dovremmo avere una banca centrale italiana per poterlo fare….in sostanza, cancellare il debito stando dentro l’euro è devastante. Ma se usciamo dall’euro cancellare il debito è inutile (e dannoso): basta ridenominarlo in valuta nazionale e affidare alla banca centrale il compito di stabilizzarne valore e tasso di interesse! Più che cancellare il debito pubblico bisogna uscire dalla assurda situazione in cui le banche possono finanziarsi a tassi di interesse bassi per poi comprare titoli pubblici da cui ricavano tassi di interesse molto più elevati. A questo dovrebbe essere la politica monetaria a trovare una soluzione lungo le linee accennate all’inizio.

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