Le baby pensioni domani compiono 40 anni: fu infatti il governo guidato da Mariano Rumor, il 29 dicembre del 1973, a dare il via al Dpr 1092, contenente vantaggiosissime condizioni di prepensionamento per i dipendenti pubblici, che ormai da decenni affossano le esangui casse dell’erario italiano.
Le baby pensioni compiono domani 40 anni: 4 decenni che hanno visto stravolgere la situazione socioeconomica dell’Italia, mentre, ad oggi, si assiste impotenti al perdurare di intoccabili diritti acquisiti, a fronte di intere generazioni di precari sottopagati e futuri pensionati tutt’altro che baby, costretti, un domani, a fare i conti con assegni pensionistici frutto del ben più austero sistema contributivo, decisamente distante dalle regalie degli esecutivi all’epoca del Pentapartito.
La storia delle baby pensioni in Italia
29 dicembre 1973, una data che ci ricorda quanto, nel nostro Paese, al di là delle leggi di Stabilità, degli (ex) Salva Roma o dei decreti Milleproroghe, ci sia da sempre una consolidata tradizione di fine anno nell’elargire mance, prebende e benefit a gruppi di interesse, lobby e amici degli amici, indipendentemente dal colore politico dell’esecutivo in carica. Il caso delle baby pensioni, poi, è particolarmente emblematico, trattandosi in fin dei conti di una forma di voto di scambio a carico delle casse pensionistiche italiane, il cui conto lo stiamo pagando noi, esattamente come lo pagheranno i nostri figli. Il meccanismo promesso dal Governo Rumor, infatti, era semplice quanto, a livello di sostenibilità dei costi, a dir poco devastante: alle donne sposate con figli veniva concesso di andare in pensione con appena 14 anni, sei mesi e un giorno di lavoro sulle spalle; 20 anni per gli altri impiegati statali; 25 anni per i dipendenti degli enti locali.
Più di 500 mila baby pensionati
Numeri che, in tempi di rigida Riforma Fornero sulle pensioni, fanno decisamente impressione, ma tali da provocare, anche all’epoca, un vero e proprio esodo di lavoratori pubblici verso le acque placide del pensionamento anticipato. Parliamo infatti di circa 531 mila persone di cui, secondo dati della Confartigianato, 17 mila hanno smesso di lavorare addirittura a 35 anni, mentre altri 78 mila hanno avuto accesso all’assegno pensionistico tra i 35 e i 39 anni. Se a questi dati aggiungiamo il progressivo aumento della vita media (tra gli 80 e gli 85 anni), ecco che abbiamo pensionati che stanno incassando più del triplo di quanto versato durante la loro – brevissima – attività lavorativa. Ed è sempre Confartigianato a dirci che i baby pensionati italiani, rispetto a tutti gli altri, ci sono costati ben 148,6 miliardi di euro in più (differenza calcolata su quanto sarebbero costati, invece, andando a riposo con le stesse regole di tutti gli altri).
Difficile non definire tutto questo un assurdo e iniquo regalo a spese dei (futuri) contribuenti (proseguito fino al Governo Amato nel 1992) ma è anche vero che l’Italia a cavallo tra gli anni 50-70 era quella del boom economico, della piena occupazione e, a conti fatti della spesa pubblica incontrollata (dal 30,1 per cento del 1960 al 46,8 per cento del 1980). Un’altra Italia, un altro mondo.
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