Diventare avvocato all’estero, un abuso di diritto? L’11 febbraio deciderà la Corte Ue

Valentina Brazioli

7 Febbraio 2014 - 16:39

Diventare avvocato all’estero, una possibilità legittima o una scorciatoia per furbetti? C’è chi parla di abuso di diritto, e l’11 febbraio a pronunciarsi in merito sarà proprio la Corte di giustizia europea. Che cosa sta succedendo? Scopriamolo insieme.

Diventare avvocato all’estero, un abuso di diritto? L’11 febbraio deciderà la Corte Ue

Diventare avvocato all’estero: parole che chi utilizza internet frequentemente è certamente abituato a veder lampeggiare su banner che suggeriscono la possibilità che esista un’alternativa facile alla via crucis dell’esame di abilitazione professionale vigente in Italia. Un’opportunità che, infatti, hanno sfruttato migliaia di aspiranti avvocati nostrani, al punto da scatenare le ire del Consiglio nazionale forense (Cnf), fermamente deciso a porre dei paletti al fenomeno.

Diventare avvocato all’estero: il diritto di stabilimento

La norma messa sotto esame è la direttiva sul diritto di stabilimento (Direttiva 98/5/CE recepita in Italia con il D. Lgs. 2 febbraio 2001 n. 96) la quale consente agli avvocati comunitari di svolgere la propria professione anche in uno Stato europeo differente da quello nel quale hanno ottenuto il titolo professionale. Una norma pensata per favorire la libera circolazione degli avvocati europei, ma che nel nostro Paese sembra aver assunto l’aspetto sinistro di un vero e proprio mercato delle abilitazioni professionali.

I numeri del fenomeno in Italia

Che si tratti di un trucchetto per aggirare lo spauracchio dell’esame abilitativo lo denunciano gli stessi numeri resi noti dal Cnf: ben il 93 per cento degli avvocati iscritti nell’elenco degli avvocati stabiliti è di nazionalità italiana. Tra questi, l’83 per cento ha ottenuto il titolo in Spagna e il 4 per cento in Romania, per un totale di 3.452 avvocati “made in Ue” distribuiti soprattutto a Roma (1.058), Milano (314), Latina (129) e Foggia (126). Tutti dati che non sono passati inosservati al Consiglio nazionale forense, il quale da tempo denuncia come questa pratica svantaggi i giovani avvocati italiani che ottengono l’abilitazione professionale senza ricorrere a facili scorciatoie, oltre a mettere in pericolo la qualità delle prestazioni forensi.

Il tentativo sul registro degli stabiliti

Già nel 2010, infatti, quattro consigli degli ordini degli avvocati (Velletri, Civitavecchia, Latina e Tivoli) avevano provato a introdurre criteri più restrittivi per l’iscrizione all’apposito registro degli stabiliti: test attitudinali, colloquio in lingua straniera ed esercizio della professione all’estero per almeno un anno. Tutti requisiti che avrebbero reso meno appetibile il tentativo di ottenere all’estero il titolo equivalente all’abilitazione professionale italiana, ma che si sono scontrati contro il parere negativo dell’Antitrust, l’autorità di garanzia per la concorrenza.

L’11 febbraio deciderà la Corte di giustizia europea

Una decisione che non ha però scoraggiato il Consiglio nazionale forense, il quale si è rivolto direttamente alla Corte di giustizia della comunità europea. Il ricorso suggerisce, infatti, che la scorciatoia praticata costituisca un “abuso del diritto”, cioè qualcosa di perfettamente lecito nella forma ma contrario allo spirito della legge. La Corte dovrebbe pronunciarsi già martedì prossimo, 11 febbraio, e sono in molti a scommettere che la pronuncia sia attesa con impazienza e timore da più di un aspirante avvocato.

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