Violenza domestica, come si denuncia?

Isabella Policarpio

10 Giugno 2019 - 13:30

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Chi è vittima di violenza domestica e maltrattamenti in famiglia può sporgere denuncia alle Forze dell’Ordine. Ecco una guida su come reagire.

Violenza domestica, come si denuncia?

Le vittime di violenza domestica e maltrattamenti in famiglia devono rivolgersi alle Forze dell’Ordine al più presto e sporgere denuncia contro l’aggressore. Purtroppo, molto spesso non è facile denunciare, proprio perché il colpevole è un parente, il marito, un genitore, un fratello, ecc.

Tuttavia, denunciare è l’unico modo per porre fine alla violenza e permettere alle Forze di polizia e alla magistratura di perseguire chi ha commesso il reato in questione.

Dunque, chi ha subito o subisce dei maltrattamenti in ambito familiare, dopo essersi accertato che il fatto configuri concretamente la fattispecie di reato, può rivolgersi agli uffici delle Forze dell’ordine (questure, Polizia postale, Arma dei carabinieri), descrivere il fatto, dare impulso alle indagini e chiedere l’applicazione di misure cautelari per proteggere sé stesso e i propri figli dalla violenza domestica.

Se le indagini confermano quanto denunciato, il colpevole subirà un processo e le relative conseguenze in caso di sentenza di condanna.

Il delitto di maltrattamenti in famiglia

Prima di procedere con l’atto di denuncia, occorre essere certi di aver subito una condotta ascrivibile al delitto di “maltrattamenti contro familiari o conviventi.” Il reato in questione è disciplinato dall’articolo 572 del Codice Penale come segue:

“Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da due a sei anni.”

Con questo articolo, dunque, il legislatore ha inteso tutelare l’integrità psico-fisica di persone facenti parte di contesti familiari o para-familiari (anche se non legati da alcun vincolo di parentela).

Si tratta di una fattispecie molto ampia, infatti nella nozione di “maltrattamento” sono comprese diversi comportamenti: l’ingiuria, la minaccia, la violenza verbale, fisica o psicologica ed anche il fenomeno del c.d. “mobbing familiare”.

Nei casi più gravi, i maltrattamenti possono anche provocare seri danni fisici, anche la morte. Per questa ragione è necessario correre ai ripari prima che sia troppo tardi. Vediamo come.

A chi rivolgersi?

Chi è vittima di maltrattamenti in famiglia può portare a conoscenza delle autorità il fatto attraverso l’atto di denuncia.

Sporgere una denuncia è molto semplice: basta recarsi in uno degli uffici delle Forze dell’ordine (Arma dei carabinieri, Polizia di Stato, polizia giudiziaria, ecc.). Qui la vittima dovrà compilare un apposito modulo dove è necessario indicare:

  • le proprie generalità;
  • le generalità del colpevole;
  • la descrizione dettagliata del fatto o degli episodi (se sono abituali);
  • le eventuali prove, ad esempio referti medici, fotografie, registrazioni.

Gli anziani ed i portatori di handicap con difficoltà motorie possono richiedere il servizio di denuncia a domicilio chiamando il 113. La denuncia non è sottoposta ad alcun limite temporale e può essere presentata sia in forma scritta che orale (l’ufficiale in servizio si occuperà di raccogliere le informazioni in un verbale).

Per ulteriori dettagli sulle modalità di presentazione della denuncia consigliamo la lettura del nostro articolo di approfondimento su come fare una denuncia.

Le conseguenze della denuncia per maltrattamenti in famiglia

Dopo aver sporto la denuncia, indicando tutte le informazioni a disposizione necessarie a circostanziare il fatto, le Forze dell’ordine si mettono in moto per indagare sulla veridicità dell’accusa.

Quindi, le Forze dell’ordine, guidate dal pubblico ministero, devono verificare se il reato che è stato denunciato dalla vittima esiste, cercare eventuali prove e perseguire i colpevoli. Le indagini hanno una durata massima di 6 mesi, prolungabili quando ci sono particolari difficoltà.

Al colpevole verrà notificato un atto che comunica la conclusione delle indagini e l’intenzione di aprire un processo. In caso di sentenza di condanna, la pena per il delitto di maltrattamenti in famiglia è la reclusione:

  • da 2 a 6 anni;
  • da 4 a 9 anni, se dal fatto derivano lesioni gravi;
  • da 7 a 15 anni, se dal fatto derivano lesioni gravissime;
  • da 12 a 24 anni, se dal fatto deriva la morte.

Maltrattamenti in famiglia e misure cautelari

Dopo la denuncia, occorre inevitabilmente attendere un lasso di tempo prima che la giustizia faccia il proprio corso, e, molto spesso i tempi della giustizia italiana si dilatano eccessivamente, lasciando il denunciante e gli altri familiari o conviventi in una situazione di pericolo. Per questo, la legge prevede l’applicazione di misure di carattere cautelare, che servono a scongiurare il protrarsi dei maltrattamenti.

Generalmente, le misure cautelari disposte nei casi di maltrattamenti in famiglia sono le seguenti:

  • l’allontanamento dalla casa familiare;
  • il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla vittima;
  • la custodia cautelare in carcere, nei casi più gravi.

Le misure cautelari possono essere disposte sia nella fase delle indagini investigative che nel corso del processo. Tuttavia non esistono delle regole precise sulla loro applicazione o durata, ma la scelta è rimessa integralmente alla discrezionalità del giudice.

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