Per quelli che “il debito pubblico lasciatoci dai nostri padri...”

Luca Pezzotta

2 Novembre 2016 - 14:09

Secondo uno dei tanti falsi miti nati con la crisi, gli attuali livelli di indebitamento sarebbero il risultato della colpa passata di generazioni dissolute e governi cicala. Le cose non stanno esattamente in questi termini.

Per quelli che “il debito pubblico lasciatoci dai nostri padri...”

Uno degli argomenti più ricorrenti per giustificare l’austerità, così come ci è stata imposta e con i provvedimenti ad essa susseguenti, è stato quello relativo all’alto stock del debito ed all’alto rapporto debito/PIL che sarebbero stati il risultato della dissolutezza dei governi passati e di “padri” che hanno voluto tutto “a debito” ponendo, così, il cappio, con relativo macigno, al collo dei propri figli e delle generazioni future.

A parte il fatto che coloro che si lamentano dell’alto debito sono gli stessi che lo valutano come un problema, sembrerebbe pure che, così facendo, si voglia far assurgere a “grattacapo” un qualcosa determinato dall’azione altrui in passato - con annesso il solito gioco dello scarica barile dove è sempre “colpa” di qualcun altro - per poi giustificare le soluzioni adottate nel presente in relazione a quella seccatura, con il risultato di rischiare di finire in una sorta di “excusatio non petita, accusatio manifesta”. E, se guardiamo la serie storica di un paio di dati, è proprio qui che si va a parare.

Mettiamo le mani avanti, valutare un singolo parametro per stabilire lo stato di salute di un’economia non è propriamente esatto. Ma visto che non si vuole valutare lo stato dell’economia italiana, ma solo sfatare il falso mito, secondo cui ci sarebbe un debito che ci opprime a causa della dissolutezza delle generazioni passate, che non si basa su nessun dato e su nessuna logica, anche solo un paio di dati sembrerebbero sufficienti.

Premettiamo che non valuteremo, principalmente, il rapporto debito/PIL ma lo stock del debito, in quanto, una variazione del rapporto debito/PIL, con una sua crescita o diminuzione, può essere determinata anche da una variazione del PIL (denominatore) di misura diversa da quella del debito (numeratore). Pertanto, ci sembra meglio, per quanto occorre, utilizzare lo stock del debito (cioè la quantità di debito esistente in un determinato momento); considerato anche il fatto che parlare in “soldoni” - invece che di rapporti - potrebbe rendere meglio l’idea.

Cominciamo comunque dal rapporto debito/PIL. Ad inizio anni ’80, lo stesso, era circa al 58%; una soglia sotto il fatidico 60% al cui livello gli stati europei, secondo almeno quanto previsto dai trattati, dovrebbero portare i loro livelli di rapporto debito/PIL. Ci sembra, dunque, inutile parlare degli anni precedenti a quella data, visto che allora i livelli di debito erano contenuti in una soglia inferiore a quella prevista dagli stessi trattati che oggi nessuno soddisfa e rispetta. Sarebbe un po’ come fare il bue che dà del cornuto all’asino.

Partiamo invece dal 1992, anno in cui siamo entrarti in avanzo primario e dove, quindi, la spesa pubblica propriamente detta (quella per i beni e per i servizi ma non quella per gli interessi) è stata contenuta, con il risultato che l’aumento del rapporto debito/PIL è stato (salvo un lieve deficit nel 2009) unicamente appannaggio della spesa di servizio del debito (spesa d’esercizio-interessi). Quindi gli anni della grande spesa, dei padri e dei governi che ci hanno messo il cappio al collo, con relativo macigno, dovrebbero risultare gli anni ’80.

Se andiamo a valutare gli anni ’80, notiamo che avemmo dei deficit primari con indebitamenti netti anche superiori al 10%, ed un rapporto debito/PIL che da circa il 58% arrivò quasi al 100%. Dobbiamo anche sottolineare che, però, in quegli anni il PIL nominale praticamente raddoppiò; e che diventammo la quinta potenza al mondo in termini di PIL, mentre l’inflazione - sottolineiamo questo dato perché nell’immaginario collettivo gli anni ’80 sembrerebbero essere ricordati come quelli di una crescita dell’inflazione - passò da livelli di oltre il 20%, a livelli inferiori anche al 5%, per assestarsi, circa alla fine degli stessi anni, attorno al 6-7%.

L’aumento del rapporto debito/PIL non ci sembra pertanto “dirimente”, in quanto, dal principio della crisi, con l’implementazione delle misure di austerità, da inizio 2008 a fine 2014, in meno di dieci anni (cioè in sette), lo stesso è passato dal 102% al 133%. E con il governo Monti, quello che, sempre nell’immaginario collettivo, anche se in questo caso sembrerebbe più proprio parlare di immaginazione collettiva se non addirittura di “visione” o traveggole, ha salvato l’Italia, è passato del 123% al 129%; con un aumento che è maggiore addirittura a quello della media annuale degli anni ’80.

Quindi, il dato “dirimente” non sembrerebbe poter essere quello relativo all’andamento del rapporto debito/PIL, bensì quello relativo allo stock del debito. Se guardiamo allo stock del debito nei dati Eurostat, tra inizio 1995 e inizio 2015 (o fine 2014, come si preferisce), vediamo che lo stock del debito passa da 1.070 miliardi di euro di inizio ‘95, a 2.171 miliardi ad inizio 2015; mentre a settembre 2016, secondo quanto riportato anche in un articolo de Il Sole 24 Ore, si assesta a 2.252 miliardi di euro.

Pertanto, i governi e le generazioni di “cicale” che si sono susseguiti dall’Unità d’Italia del 1861 (prendiamo l’Unità come punto d’inizio) fino al 1995, cioè un paio d’anni dopo la nascita, sulle ceneri di Tangentopoli e della Prima Repubblica, di quella che è conosciuta come Seconda Repubblica, hanno accumulato 1.070 miliardi di euro in stock del debito; mentre le generazioni ed i governi degli ultimi vent’anni – sì, quelli virtuosi dell’avanzo primario - ne hanno accumulati 1.182.

Certo, avete capito bene: dell’attuale stock del debito, più della metà è stato accumulato negli ultimi venti anni! Nonostante gli avanzi primari! Non corrisponde pertanto alla realtà dei dati dire che il debito è stato fatto dalle generazioni e dai governi passati più di quanto fatto dai governi e dalle generazioni (o generazione, bisognerebbe “stabilire” quanto è una generazione – ma per quello che interessa non è così importante) degli ultimi vent’anni. Infatti, come appena detto, dal 1861 al 1995, in 134 anni di storia – con tutto quello che è successo, dalla terza guerra d’indipendenza (1866) fino al miracolo italiano e oltre, passando per due guerre mondiali, varie crisi e molto, molto altro - abbiamo accumulato 1.070 miliardi di debito; mentre negli ultimi 21 anni, dal 1995 al 2016, ne abbiamo accumulati ben 1.182.

Pertanto quella del debito presentato come problema “ereditato”, con annessa soluzione presente (tagliare!) per la colpa passata, è una excusatio proprio alla luce dei dati: una scusa che, non richiesta, diventa un’accusa manifesta! Invero, non è possibile scaricare il debito come “colpa” sulle generazioni e sui governi passati, visto che in una ventina d’anni i governi della Seconda Repubblica hanno accumulato più stock del debito che quelli succedutisi dall’Unità d’Italia alla fine della Prima Repubblica.

Infine, si vorrebbe far notare che, “per assurdo", anche qualora considerassimo il precedente stock del debito, quello fino al 1992, come una sorta di capitale risultato dei soli disavanzi primari e non anche degli interessi (cosa non plausibile visto che anche negli anni ’80 il peso degli interessi sull’indebitamento netto era ancora maggiore a quello dei disavanzi primari) questi ultimi, alla luce dell’avanzo primario che perseguiamo dal medesimo 1992, avrebbero comunque ormai superato il capitale stesso. Questo, proprio perché dal ’92 lo stock del debito cresce solo per gli interessi ed è più che raddoppiato.

Pertanto, concludendo, alla luce di quanto esposto, quella dei “padri” e delle generazioni passate che con governi cicala ci hanno stretto al collo il cappio di un debito insostenibile e pesante come un macigno, sembra essere l’ennesimo falso mito; l’ennesima scusa per scaricare su altri i risultati della propria palese ed evidente incapacità (quando non è qualcosa di peggio – tipo tutelare gli interessi particolari di qualcuno). In altri casi, invece, sembrerebbe addirittura la volontà di alimentare un clima da conflitto intergenerazionale tipico da dividi et impera e, allo stesso tempo, poter giustificare la responsabilità necessaria (figlia però della propria irresponsabilità nel senso di una mancanza di colpa e derivante, quindi, – sottolineiamo ancora - da colpa altrui, “ci dispiace, lo dobbiamo fare, ma non è colpa nostra”) per adottare provvedimenti restrittivi d’austerità e di tagli che si risolvono, ogni volta, in un peggioramento della situazione.

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