Negli ultimi giorni sembra essere un po’ rientrato l’allarme sugli emergenti. Tuttavia, il rischio di un nuovo sell-off non può essere ancora scongiurato
Negli ultimi giorni stiamo assistendo a una minore volatilità sulle valute dei mercati emergenti più colpite da inizio anno, a seguito dell’avvio del tapering negli USA, a causa dei rischi legati al rallentamento della Cina e per il forte aumento dell’avversione al rischio sui mercati azionari. La fuga di capitali dai paesi emergenti viene ricondotta alla debolezza macroeconomica di alcuni paesi, a causa dell’elevato deficit delle partite correnti (come in Turchia, Brasile, India e Sudafrica), ma anche alla possibilità che avvenga il default di uno Stato sovrano.
I paesi più pericolanti restano l’Argentina, il Venezuela e l’Ucraina, anche se il timore degli investitori è che alla fine possa cadere un pezzo grosso dei BRIC. La Cina preoccupa tantissimo per il basso ritmo di crescita mostrato negli ultimi mesi e per la crisi di liquidità di banche e aziende pubbliche. Tuttavia, secondo gli esperti, al massimo Pechino avrà un hard landing ma non un crollo verticale del proprio sistema economico-finanziario. La Russia sta rallentando e il rublo è ai minimi, ma non sembra essere in pericolo grazie alle sue immense riserve valutarie e al basso indebitamento.
India e Sudafrica sono più in difficoltà. New Delhi deve fare i conti con un deficit delle partite correnti importante e con il crollo della rupia, mentre la più grande economia africana vive una fase di instabilità politica e disordini sociali. Secondo Paul McNamara, money manager di Gam e responsabile del fondo JB Local Emerging Bond di Swiss & Global, non ci sarà però un crollo dei mercati emergenti come nel Sud-Est asiatico nel 1997 e in Russia nel 1998.
L’esperto sottolinea che oggi i mercati emergenti sono molto più solidi finanziariamente rispetto a 17 anni fa. McNamara ritiene che il modello di crescita seguito dai paesi emergenti dopo la crisi finanziaria del 2008 sia ormai agli sgoccioli, in particolare con l’avvio del tapering della Federal Reserve. Tuttavia il money manager sottolinea che “il tapering è stato solo la molla che ha dato origine agli sviluppi attuali e non la loro causa principale”. I mercati emergenti hanno beneficiato per molti anni di politiche monetarie accomodanti e di flussi di denaro estero a buon mercato, ma ora sarà necessario rivedere il modello di crescita con la rinascita dei paesi sviluppati.
Alcuni paesi con un disavanzo commerciale importante, come la Turchia, potrebbero soffrire ancora ma l’esperto allontana l’ipotesi di un crollo clamoroso come nel 1997-1998, quando ci furono episodi di insolvenza e svalutazioni. McNamara è convinto che ci sia ancora del potenziale nei bond denominati in valute emergenti, in particolare in quelli di Messico, Ungheria, Polonia, Romania e Corea del Sud. I rendimenti sono decisamente allettanti e c’è una grossa possibilità di rivalutazione nei prossimi anni.
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