Crisi: 4 errori dell’Eurozona, lezioni agli Stati Uniti sul fiscal cliff

Federica Agostini

21/11/2012

Crisi: 4 errori dell’Eurozona, lezioni agli Stati Uniti sul fiscal cliff

Lorenzo Bini Smaghi, ex membro dell’esecutivo BCE, descrive quattro lezioni che gli Stati Uniti potrebbero imparare dall’Eurozona sugli errori commessi nella gestione della crisi e da non ripetere con il fiscal cliff. Non solo, tra le righe è evidente di come si tratti di quattro punti che snocciolano la questione della crisi del debito Europeo e delle difficoltà incontrate sul cammino del processo risolutivo. Perché tarda tanto ad arrivare una soluzione alla crisi? Gli errori nella gestione della crisi dell’Euro rischiano di ripetersi negli Stati Uniti.

1. La fiducia dei mercati: battere il ferro finché è caldo?

La prima lezione che l’Eurozona dovrebbe insegnare è che, in generale, la classe dirigente politica tende ad agire in ritardo, quando i mercati hanno già perso la fiducia nei loro confronti. Si dice "battere il ferro finché è caldo": questa è la strategia dell’esasperazione, si ritiene che le scelte impopolari vengano accolte "meglio" dall’elettorato quando ci si rende conto che l’alternativa alla scelta dura, sarebbe stata ancor più dura (meglio l’austerità o il ritorno al vecchio conio?). Ma a quel punto, i mercati si domandano fino a che punto sia credibile la politica messa in atto e, il rischio, è che per ritrovare la fiducia servano misure ancor più dure di quelle inizialmente richieste.

L’esempio dell’Eurozona chiarisce perfettamente i costi di questa strategia. Ad esempio, la Germania è riuscita ad approvare l’appoggio finanziario alla Grecia soltanto quando, nel maggio del 2010, l’euro sembrava destinato al fallimento, ma a quel punto però lo sforzo della Germania non fu sufficiente a risollevare e stabilizzare in maniera sostanziale i mercati.

Ad oggi, le autorità Statunitensi sembrano seguire lo stesso percorso: non agire fino a quando i mercati non comincino ad esercitare pericolose pressioni potrebbe essere la strategia sbagliata perché allora potrebbe essere troppo tardi. Prima si trova una situazione, minori saranno i costi da pagare.

2. Il gioco del coniglio: la prova di forza allontana i mercati

La seconda lezione dall’Eurozona riguarda l’apertura alla politica del rischio calcolato che ha come effetto la diffusione dell’instabilità finanziaria. Il "gioco del coniglio" (dalla teoria dei giochi - Wikipedia) può diventare pericoloso, e la zona Euro lo sa bene. C’è stato un momento in cui le parti dell’Eurozona si dicevano anche pronte a far cadere la Grecia, affinché la politica ellenica si rendesse conto della necessità di raggiungere le condizioni imposte dall’Europa. L’effetto, però, è stato duplice: le minacce di fallimento della Grecia non hanno spaventato soltanto Atene, ma anche i mercati e gli investitori che, date le condizioni, hanno preferito scappare dalla Grecia e dall’Eurozona.

Il principio democratico che regge l’Eurozona non può prescindere dalle trattative rese pubbliche, ma questo tipo di trattative è un’arma a doppio taglio che induce, necessariamente, al gioco del coniglio, ma la prova di forza tra le parti scoraggia i mercati.

3. La strategia della "toppa"

La terza lezione che gli Stati Uniti potrebbero apprendere dall’Eurozona, riguarda la strategia della "toppa": le soluzioni tampone risolvono solo temporaneamente i problemi che successivamente (in genere molto più in fretta di quanto si pensi) richiederanno nuovi interventi, più ampi, più complessi e più costosi.

I summit europei, ad esempio, hanno avuto sempre meno effetto sul mercato negli ultimi periodi, visto che ogni volta le soluzioni sono sempre risultate vaghe e carenti di dettagli.

Negli Stati Uniti si pone molta enfasi su come evitare il fiscal cliff e pochissima su come recuperare la sostenibilità della crescita economica. Se la politica non riuscisse a giungere ad un piano credibile sul medio termine, basato su presupposti reali, la fiducia dei mercati potrebbe presto svanire.

4. La politica monetaria non è per sempre

Quarta ed ultima lezione: i problemi fiscali e strutturali possono essere risolti soltanto con la revisione delle rispettive politiche. La politica monetaria ha soltanto il potere di "comprare" tempo fino a quando la politica reale definisca un piano concreto che porti ad una soluzione. L’esperienza, però, insegna. Se viene fatto passare troppo tempo, le autorità tendono alla rilassatezza, nella convinzione che il favore dei mercati possa durare a lungo e ignorando che si tratta soltanto del risultato di una politica monetaria accomodante che non può durare per sempre.

Ogni volta che la Banca Centrale Europea sia riuscita a calmare i mercati lanciando "eccezionali misure", la pressione sulla zona Euro si è allentata e i progressi risolutivi hanno rallentato il loro incedere, ed è per questo che la "condizionalità" è divenuta l’elemento necessario per l’adesione agli aiuti economici dalla BCE (ed è forse per questo che nessuno ancora vi ha fatto ricorso?). Senza questo elemento, l’intervento della banca sarebbe ridotto ad una semplice monetizzazione del debito, nel quale la banca centrale perderebbe la propria credibilità.

- In conclusione, però, un dubbio è lecito: quanto ancora dovrà aspettare l’Europa prima che si giunga ad una soluzione concreta?

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