Crisi di governo: cosa succede alle misure sul lavoro se cade l’esecutivo

Sara Nicosia

09/08/2019

09/08/2019 - 16:05

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Palazzo Chigi è in subbuglio. Dal decreto sui raider alle politiche di aiuti alle aziende in crisi. Cosa potrebbe cambiare per decreto dignità e reddito di cittadinanza se cambia l’esecutivo?

Crisi di governo: cosa succede alle misure sul lavoro se cade l’esecutivo

Dal decreto dignità e le sue modifiche sui contratti di lavoro a termine e in somministrazione, passando al dimezzamento delle ore e dei fondi, destinate all’alternanza scuola-lavoro. E poi? Si passa dal reddito e dalla pensione di cittadinanza, che ha interessato fino ad oggi oltre 900mila nuclei familiari, per arrivare all’ultimo decreto legge indirizzato ai rider. Senza dimenticare delle politiche a sostegno delle aziende in crisi e della tutela per i gestori dell’ex Ilva, approvato dal consiglio dei ministri ma da completare se non si vuole rimanga sospeso o, peggio, dimenticato.

Questi i provvedimenti che hanno interessato il mercato del lavoro e che il governo Conte ci lascia in eredità. Ma, c’è un ma, buona parte di tutto questo rischia fortemente di svanire, o essere sottoposto a modifiche, nel caso in cui la maggioranza di governo dovesse cambiare.

Salario minimo e reddito di cittadinanza, le prime vittime

Fortemente voluto dal M5s, ed egualmente vessato da tutte la parti sociali (Lega in primis), l’annunciata introduzione del salario minimo legale rischia di rimanere un pensiero su carta. Il disegno di legge della pentastellata senatrice Nunzia Catalfo, presentato a luglio 2018, è infatti fermo in commissione del lavoro. Lo scorso 6 luglio, durante l’incontro delle parti al Viminale, il vicepremier leghista ha raccolto dubbi e critiche mosse da imprese e sindacati proprio nei confronti dei provvedimento sul lavoro del M5s, affermando che “si rischia la fuga dai contratti di lavoro e per aiutare qualcuno si danneggiano milioni lavoratori. Qualcuno una riflessione la deve fare”.

Tra i bersagli di Salvini anche il decreto Dignità su cui, sempre durante la seduta del 6 luglio e su istanza del mondo produttivo, si è detto convinto della necessità di apportare modifiche a contrasto dell’inefficacia delle misure. Nel mirino anche il reddito di cittadinanza che il vicepremier leghista accusa come principale responsabile della diminuzione di manodopera qualificata.
Sul tema è tornato anche durante il comizio di Sabaudia del 7 agosto rimarcando come
non si possono garantire reddito di cittadinanza a tutti e salario minimo, prima bisogna dare lavoro, creare ricchezza, sennò cosa ridistribuisci?

Rider e aiuti ad aziende in crisi, i decreti ancora sulla carta

L’ultimo atto del governo Conte è virato sulla necessità di trovare una norma che tuteli i rider e gli aiuti alle aziende in crisi.

Nel primo caso il decreto prevede che la piattaforma digitale si faccia carico della copertura sanitaria obbligatoria contro infortuni sul lavoro e malattie. La norma individua al contempo i parametri entro cui regolare la retribuzione economica dei raider attraverso l’impiego di un cottimo misto. Su questo punto i sindacati si sono detti critici, evidenziando come manchino riferimenti al divieto di cottimo, al diritto alla disconnessione e passando alla mancanza di tutele sindacali, di riposo, di un orario minimo garantito e un compenso dignitoso.

Lo stesso decreto dovrebbe inoltre andare a lavorare su alcune garanzie a tempo per i manager di Arcelor Mittal, impegnati ad attuare il piano ambientale nell’ex Ilva, e sulle risorse necessarie a salvare lo stabilimento napoletano di Whirpool. Il testo, che tra le altre cose prevede aiuti per i lavoratori della Blutec di Termini Imerese, per quelli dell’ex Alcoa di Portovesme e la stabilizzazione dei precari di Anpal, rimane tuttavia in fase di approvazione dal governo. Se non si procede alla verifica delle coperture e all’iter per la sua promulgazione, tutte queste norme rimangono solo inchiostro su carta.

Alternanza scuola-lavoro, i tagli al banco di settembre

Dubbi e perplessità anche sull’alternanza scuola-lavoro che ha visto il governo giallo-verde impegnato nell’attuazione di norme volte a dimezzarne fondi e ore. La cosiddetta formazione “on the job”, diventata didattica obbligatoria dal 2015, ha visto la diminuzione delle ore da 400 a 210 per istituti professionali e 150 per i tecnici, e la riduzione da 200 a 90 ore per i licei. Dimezzati anche i fondi che sono passati da 100 a 50 milioni.

Le imprese però sono in allarme e chiedono una revisione dei tagli, soprattutto per gli istituti tecnici e professionali dove la formazione pratica attraverso esperienza lavorative può davvero costituire una risorsa preziosa. In vista del nuovo anno scolastico 2019-2020, in partenza a settembre, non sono poche le aziende che dati i tagli potrebbero fare marcia indietro e abbandonare i programmi formativi.

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