Cosa ci lascia davvero Luc Montagnier

Dimitri Stagnitto

12/02/2022

12/02/2022 - 18:37

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Mai la morte di un premio Nobel è stata celebrata con tanta ignominia. Eppure Montagnier ci lascia un’eredità scientifica che verrà rivalutata in futuro.

Cosa ci lascia davvero Luc Montagnier

La morte di Luc Montagnier, evento che per qualsiasi premio Nobel rappresenta un momento di nuovo riconoscimento e ammirazione per l’eredità lasciata all’umanità, ha dato invece il la a una campagna di diffamazione a mezzo stampa unita a scherni gratuiti sui social che non rendono giustizia né all’uomo, né al personaggio, né allo scienziato.

La sua colpa? Aver perseguito la Scienza con sincerità, rinunciando all’omologazione e a tutti i vantaggi che questa offre allo scienziato che ne fa proprio lo spartito, soprattutto quando si tratta di un premio Nobel come nel caso di Montagnier.

È importante una premessa prima di entrare nel dettaglio della sua vicenda: molti degli scienziati che oggi celebriamo e verso cui il riconoscimento è universale non hanno avuto in vita questo tipo di riscontro.
Il caso più famoso è quello di colui che il metodo scientifico l’ha postulato, Galileo Galilei, che pur avendo tutte le ragioni del mondo ha comunque dovuto fare i conti con lo spirito di omologazione del tempo e con il potere che lo rappresentava.

Meno conosciuta ma altrettanto significativa la vicenda di Ignác Fülöp Semmelweis, un medico che aveva intuito una cosa che oggi può sembrarci banale: eseguire autopsie a mani nude, non lavarle e recarsi poi ad assistere un parto potrebbe causare infezioni capaci di uccidere le puerpere. Banale buon senso, oggi. Ai tempi fu duramente ostracizzato per aver anche solo osato pensare che i medici potessero causare la morte delle loro pazienti per semplice mancanza di igiene.

Semmelweis morì in manicomio, di setticemia. Il destino è beffardo.

Meno di due anni fa tutti hanno preso molto sul serio le indicazioni sulla procedura del lavaggio delle mani di Barbara D’Urso in diretta TV, paradossalmente seguendo lo stesso schema di omologazione che fu fatale a Semmelweis.

Luc Montagnier non ha avuto una carriera brillante dopo il premio Nobel, la sua università lo dotava di pochi fondi e il suo laboratorio, per anni, è stato una specie di roulotte nel campus universitario in cui conduceva ricerche invero molto interessanti, ma strane e soprattutto lontane dalla prospettiva di un’immediata applicazione pratica brevettabile.

La figura di Montagnier è tornata in auge per via delle sue posizioni su Covid-19: quasi subito parlò di chiare «firme» che segnalavano l’origine del virus in laboratorio, in tempi in cui chiunque provasse ad ipotizzare teorie diverse dall’improbabile incrocio pipistrello-pangolino veniva immediatamente etichettato come terrapiattista.

Nel frattempo la storia è andata avanti, mentre qualcuno è rimasto indietro:

Tweet di Tozzi su Montagnier Tweet di Tozzi su Montagnier

Per uno che dovrebbe occuparsi di divulgazione scientifica ce n’è per sotterrarsi a vita, e in effetti a dire il vero è proprio dove Tozzi è portato dalla sua specializzazione, deve aver avuto a suo tempo un presentimento.

In generale le posizioni di Montagnier durante la crisi del Covid-19 sono sempre state critiche e poco allineate. Qui la storia sta ancora facendo il suo corso, forse un giorno avremo modo di giudicare.

Le «strane» ricerche di Luc Montagnier
A cosa stava lavorando Montagnier in questi anni? Tra le altre cose, alle ricerche sulla «memoria dell’acqua», altro elemento su cui le prese in giro si sono sprecate in questi giorni.

In effetti messa così sa tanto di pseudoscienza, ma è davvero così? Oppure rischiamo di essere affrettatamente i nuovi inquisitori di Galileo o i nuovi aguzzini di Semmelweis? Come abbiamo visto le innovazioni scientifiche fanno quasi sempre questo effetto quando la società non è pronta ad accoglierle.

In cosa consistessero queste ricerche e quale profondo spirito di indagine dei meccanismi ancora ignoti della natura che ci circonda lo spiegò bene un altro scienziato italiano, che con Montagnier su queste ricerche collaborava, Emilio Del Giudice, anche lui scomparso da alcuni anni. L’intervento merita di essere ascoltato con attenzione nella sua interezza, così come l’altro materiale di Del Giudice presente online:

Di fatto l’acqua sembra avere, in alcune condizioni, guarda caso quelle in cui si trova di norma in biologia, caratteristiche ben diverse da quelle dell’acqua «bulk», quella che troviamo in natura fuori dal contesto di cellule viventi.
Sarebbero queste caratteristiche a rendere possibile lo sviluppo della vita, uno dei tanti misteri su cui la Scienza è ben lontana dal dare spiegazioni esaustive. Infatti Montagnier le cercava, come ogni scienziato dovrebbe fare, per pura curiosità e speculazione, senza guardare ai risvolti immediati o all’opportunità pratica di ciò che si cerca, o si rischia, di scoprire.

Sempre sull’acqua Montagnier portò a compimento alcuni esperimenti che dimostravano come, sottoponendo dell’acqua distillata contenente alcuni monomeri liberi alle frequenze emesse da acqua contenente delle sequenze proteiche complete, questa andava a formare a sua volta le stesse sequenze proteiche sotto la «direzione» dell’informazione contenuta nelle frequenze stesse.
L’esperimento fu condotto inviando ad altri laboratori un CD contenente «il suono» dell’acqua originale che «fatto ascoltare» all’acqua distillata più monomeri andava a riprodurre la composizione dell’acqua originale in termini di molecole disciolte.

Sono ovviamente indagini che necessitano di conferme, approfondimenti e fondi, mentre le sorti di Emilio Del Giudice e di Montagnier, già in vita prima che nell’umiliazione del ricordo, tutto fanno meno che incentivare giovani ricercatori a dedicarsi a questi studi. Perché rendersi la vita difficile, specie quando non si ha già un premio Nobel in bacheca?

Questo coraggio lo ha avuto Montagnier, lo ha avuto Emilio Del Giudice e lo ha avuto Giuliano Preparata, con cui Del Giudice collaborava negli anni ’90 a ricerche sulla fusione fredda in cui sembrava si fossero raggiunti risultati sperimentali significativi. Ne parlò anche Report con un’inchiesta ai tempi di Milena Gabanelli che allora era evidentemente più idealista e non aveva nei suoi orizzonti né «dataroom» né un certo tipo di giornalismo.

Spiace quindi che i giudizi su quest’uomo siano così duri e ingiusti, ma dà anche il segno alle nuove generazioni di ricercatori e scienziati che, forse, nelle ricerche di Montagnier c’è qualcosa di valido che merita di essere ripreso e approfondito.

Da troppo tempo l’umanità sta facendo progressi nella tecnica piuttosto che nella scienza. Questo potrebbe darci l’illusione di essere al culmine della nostra possibilità di scoprire, padroni delle verità ultime sul mondo che ci circonda.
Che il futuro possa riservarci 10, 100, 1000 Montagnier a ricordarci che il nostro lavoro di indagine e scoperta per sua intrinseca natura è destinato a non finire mai e che i progressi in questo senso sono possibili solo se la ricerca è condotta con spirito puro.

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# Acqua

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