Confindustria recita il de profundis del Pil e vede nuovo scostamento. L’Ue gradirà?

Mauro Bottarelli

2 Gennaio 2022 - 18:00

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IlSole24Ore «confina» on-line un articolo che parla di crescita al 2,8% (dal 4,2%) e ricorso a ulteriore deficit già in febbraio. L’isteria di restrizioni in atto è l’alibi per la tempesta in arrivo?

Confindustria recita il de profundis del Pil e vede nuovo scostamento. L’Ue gradirà?

I giorni a cavallo di Natale e fine anno sono strategici per i giornali. Le edizioni doppie, infatti, un tempo erano garanzia di black-out informativo nelle edicole. Quindi, ovunque. Oggi, in tempo di editoria digitale e social network, permettono di pubblicare on-line contenuti tanto realistici quanto scomodi, soprattutto se fino al giorno prima la narrativa era quella sposata dall’Economist: l’Italia del miracoloso 6%, prima della classe in Europa per intensità della ripresa. Meglio anche dei maestrini tedeschi.

Ben inteso, la collocazione di questo articolo depone chiaramente a favore di una totale e lapalissiana non prevenzione o discriminazione dell’informazione in Rete. Ma quella cartacea gode ancora oggi di un vantaggio, al netto della crisi delle vendite in edicola: le rassegne stampa della notte e del mattino. Visibilità allo stato puro. E a costo zero. E al netto del numero impressionante di insonni che popolano questo Paese, addormentarsi o bere il caffè del mattino con impressi certi titoli stimola più di un meccanismo pavloviano di lettura e analisi della realtà.

Si rimane quindi stupefatti quando ci si imbatte (con data 1 gennaio 2022) nel breve articolo scritto per l’edizione elettronica del Sole24Ore da due giornalisti fra i più competenti in materia di conti pubblici come Marco Rogari e Gianni Trovati e il giorno seguente non se ne trova traccia sul cartaceo, pur rimanendo a disposizione on-line ma in posizione decisamente confinata. Il titolo? Quarta ondata Covid e bollette mettono a rischio i conti pubblici. Boom! Meglio ancora, l’attacco: L’ipotesi di parziale efficacia dei vaccini di fronte a varianti del Covid-19 ventilata a fine settembre dalla Nota di aggiornamento al Def si è trasformata in realtà. E con lei rischiano di realizzarsi i contorni dello scenario avverso tratteggiato dai tecnici del ministero dell’Economia di fianco alla più ottimistica previsione che sta alla base del programma di finanza pubblica.

Insomma, al netto di tutto quanto messo in campo e del mitologico 6% di Pil per l’anno appena concluso, le casse del Paese sembrano nuovamente nei guai. E con Omicron che ancora appare sotto controllo, stante la preponderanza della variante Delta nel nostro Paese. Prosegue l’articolo: Tradotto in cifre, nell’ipotesi della Nadef un prolungamento della quarta ondata pandemica che si traducesse in nuove misure restrittive dell’attività economica significherebbe un taglio dell’1,4% alla crescita tendenziale messa in calendario per l’anno prossimo. In pratica, la dinamica di base del Pil si fermerebbe al 2,8% (e non 1,8% come erroneamente scritto nel documento) invece di correre al 4,2%, portando la crescita reale spinta dalla manovra ora in discussione al Senato al 3,3% invece del 4,7% fissato come obiettivo dal governo. Questa girandola di percentuali serve a misurare l’allarme prodotto dall’ennesima recrudescenza pandemica sui conti pubblici, e in particolare sulla linea di riduzione di deficit e debito che rappresenta il cuore del programma 2022. Ma c’è di più.

E cosa può esserci di più? Perché un nuovo rallentamento dell’economia, che può essere causato anche dal peggioramento netto della situazione in Paesi come la Gran Bretagna e la Germania che sono fra i nostri principali partner commerciali, sarebbe inevitabilmente destinato ad alimentare il pressing sul governo per un nuovo scostamento di bilancio. Che più di un esponente di punta della maggioranza già mette in calendario per febbraio, una volta superato un voto quirinalizio che già di suo solleva più di un’incognita sul governo. Il motivo, al netto del carattere prematuro di un computo delle cifre precise, come sottolinea l’articolo? Perché il quadro attuale di finanza pubblica non pare offrire strumenti alternativi a un nuovo scostamento per la caccia a risorse aggiuntive. Soprattutto dopo che il decreto fisco-bis e i sofferti emendamenti parlamentari alla legge di bilancio hanno esaurito i margini residui dei fondi non spesi per gli aiuti emergenziali di quest’anno.

Insomma, stante l’ennesimo assalto alla diligenza stile anni del Pentapartito appena denunciato - pur in punta di fioretto - dal quotidiano di Confindustria, tocca fare nuovo deficit. E mandare a carte e quarantotto tutte le promesse fatte all’Europa rispetto alla riduzione strutturale di deficit e debito, a sua volta conditio sine qua non per l’esborso delle altre tranches del Recovery Fund, dopo i 25 miliardi dello scorso agosto ottenuti brevi manu alla presentazione della riforma della Giustizia.

Non male come lettura di inizio anno: non solo Omicron starebbe già facendo strame del Nadef e delineando a tempo di record il worst case scenario ipotizzato dai tecnici del Tesoro ma occorre anche prendere atto del sacco di risorse cui si è lasciato spazio per tacitare i mal di pancia dei vari partiti in sede di Manovra, votata praticamente senza nemmeno leggerla, nottetempo e a 36 ore dall’esercizio provvisorio. Di fatto, prendiamo atto di casse già vuote, a fronte di queste prospettive? E dove andrà lo spread, in caso anche il mercato prezzasse in anticipo questo worst case scenario?

E se Mario Draghi a fine mese traslocasse al Quirinale, chi gestirà questo eventuale, nuovo scostamento? Il governo attuale? Oppure qualcuno si sfilerà, dando vita a una nuova maggioranza? Si rischia il voto anticipato e il caos totale? Domande pesanti per un Paese con il nostro stock di debito. E decisamente inattese, stando solo ai toni trionfalistici della narrativa pre-natalizia. Cosa è precipitato, di colpo? Davvero è tutta e solo colpa di Omicron? Oppure l’ennesima variante sta operando meravigliosamente da alibi per una situazione strutturale dei conti pubblici che non era affatto quella rosea e degna di incoronazione dell’Economist?

Questa corsa alla stretta, alle misure sempre più draconiane ed emergenziali e lo stesso prolungamento dello stato di emergenza fino al 31 marzo, forse, vanno letti sotto una luce differente? Perché qui non è qualche blog complottista a tratteggiare scenari di palese crisi dei conti pubblici, bensì il quotidiano di una Confindustria mai come oggi filo-governativa. Per ora, sfruttando la penombra mediatica garantita dall’assenza cartacea sulle rastrelliere delle edicole e nei video delle rassegne stampe. Quando quelle cifre e quei timori sapranno di inchiostro, forse sarà davvero giunto il momento di spaventarsi. E, magari, di rispolverare il mitico Fate presto. Perché siamo entrati nell’anno del trentennale del prelievo overnight del 9-10 luglio 1992. E circola il nome di Giuliano Amato per il Quirinale.

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