Italia Cashless society: cos’è, significato, pro e contro

Giulia Adonopoulos

9 Ottobre 2020 - 16:26

Cos’è una società senza contanti, come funziona e dove è già realtà? L’Italia vuole incentivare i pagamenti digitali, ma diventerà mai davvero cashless? Le risposte a tutte le domande.

Italia Cashless society: cos’è, significato, pro e contro

Una cashless society (letteralmente “società senza contanti”) è una società in cui le persone non usano più o usano pochissimo i contanti, a favore di metodi di pagamento digitali (carte di credito, contactless, smartphone, smartwatch, criptovalute) completamente tracciabili e controllati.

Oggi non esistono società completamente cashless, anche se alcuni Paesi sono molto vicini all’abbandono del contante. Come la Svezia, dove l’85% dei cittadini ha accesso all’online banking e solo il 2% delle transazioni sono effettuate in contanti. Ci sono varie ragioni che spiegano questo fenomeno: in Svezia è molto popolare l’app di pagamenti chiamata Swish, utilizzata da più della metà della popolazione, e la maggior parte dei negozianti non accetta pagamenti in contanti.

Anche la Cina, dove tutti usano WeChat Pay e Alipay, ha un mercato cashless enorme, ma più che le carte di credito i cinesi effettuano pagamenti scansionando i QR Code sui loro smartphone.

Cashless society: cosa significa vivere senza contanti

Anche se i governi e le grandi società di servizi finanziari spingono verso una cashless society, ci sono diverse sfide logistiche e questioni sociali da affrontare e risolvere prima che la società possa rinunciare ai contanti. Proviamo a capire pro e contro di questa svolta.

È indubbio che i cittadini possono trarre diversi vantaggi da una società senza contanti, a partire dalla comodità e dalla convenienza di pagare via carta o device. Inoltre diminuisce il tasso di criminalità legata ai furti di borse e portafogli; niente più movimenti di denaro illegali, gioco d’azzardo illegale, riciclaggio, elusione ed evasione fiscale: in una cashless society i redditi e le transazioni sono tracciati e chiaramente identificabili.

È vero che i pagamenti digitali possono esporci al rischio di violazione di dati e frodi informatiche, ma sono molto più sicuri dei contanti.

C’è poi chi fa notare che tenere traccia delle spese attraverso l’app della banca o altre app di gestione finanziaria aiuta ad avere una migliore pianificazione del budget e a risparmiare.

Le transazioni digitali hanno un impatto ambientale quasi nullo (a differenza di banconote e monete che consumano preziose risorse naturali come carta, nichel, rame, zinco) e sono sempre esatte al centesimo, mentre con i pagamenti in contanti spesso le monetine si perdono nel resto o sono poco spendibili. Con i pagamenti cashless non si rischia inoltre di ricevere soldi falsi.

A seconda della prospettiva, però, andare verso una società senza contanti può avere dei contro. D’altronde quello che è un vantaggio per qualcuno può essere uno svantaggio per qualcun altro.

Anche se una persona non ha intenzione di ingannare il fisco o commettere reati finanziari, ciò non vuol dire che non abbia delle buone ragioni per voler mantenere private le proprie transazioni. Infatti la possibilità di monitorare i nostri pagamenti e le nostre decisioni di acquisto offre agli istituti finanziari e alle banche una capacità di sorveglianza potentissima: i nostri preziosi dati nelle loro mani possono essere utilizzati per pregiudicarci e discriminarci.

Prima di diventare cashless la società dovrebbe risolvere il problema dei milioni di “unbanked”, ossia persone non in grado di effettuare pagamenti digitali perché vivono in deserti bancari, o non hanno un conto bancario, una carta di credito/debito o uno smartphone. Il settore bancario ha già una lunga storia di discriminazione, e il cashless potrebbe aggravare queste difficoltà. Infine c’è un’altra questione, che è il potenziale costo personale. Alcuni studi rivelano infatti che chi usa carte di credito bancomat si indebita di più perché il denaro invisibile fa perdere la cognizione dei soldi e si tende a spendere o a chiedere in prestito più di quanto ci si possa permettere.

Italia cashless: a che punto siamo

Secondo il Cashless Society Index 2020 l’Italia è quintultima nella classifica europea (23sima su 28 Paesi) per il terzo anno consecutivo. Tutti i dati lo confermano: la nostra è ancora una nazione cash-based, anche se negli ultimi anni i pagamenti elettronici hanno registrato una crescita.

Nel 2019 i pagamenti digitali in Italia hanno raggiunto un valore di 3,1 miliardi di euro (+109% rispetto al 2018) e nel 2020, complice la pandemia, questo mercato ha continuato la sua avanzata ovunque, Italia compresa. Si stima che entro il 2023 l’industria dei pagamenti innovativi avrà un boom, per un volume di transazioni globali pari a 708 miliardi di dollari (fonte: World Payments Report 2020, Capgemini).

Per promuovere il cashless, contrastare l’evasione fiscale e permetterci di pagare meno tasse, il governo Conte ha stanziato 3 miliardi di euro l’anno per il prossimo triennio: il “Piano Italia Cashless” prevede l’introduzione del cashback di Stato, ossia il rimborso del 10% delle spese effettuate con moneta elettronica, e la lotteria degli scontrini.

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