Bloomberg: salviamo l’Europa, eliminiamo l’euro. L’analisi di tre economisti europei

Erika Di Dio

24 Maggio 2013 - 14:47

Bloomberg: salviamo l’Europa, eliminiamo l’euro. L’analisi di tre economisti europei

Alla vigilia della guerra civile americana, Abraham Lincoln disse la famosa frase "una casa divisa non può stare in piedi." Oggi, l’Unione Europea - impegnata da decenni alla ricerca di una "unione sempre più stretta" - deve confrontarsi con una verità straziante. La massima di Lincoln deve essere invertita. Affinché l’UE possa sopravvivere, l’euro deve essere disintegrato.

Tra il trattato di Roma del 1957 e l’Atto unico europeo, nel 1986, i governi europei hanno portato avanti la più grande rivoluzione pacifica che il continente abbia mai visto nella sua lunga e travagliata storia. La creazione di una moneta unica europea si sarebbe dovuta costruire su questo notevole successo; doveva essere il fondamentale passo successivo verso una maggiore unità e prosperità. La crisi economica in Europa meridionale mostra che il sistema dell’euro, almeno nella sua forma attuale, è invece diventato una minaccia mortale per entrambi.

Grecia, Spagna, Portogallo, Italia e Cipro sono intrappolate in una fase di recessione e non possono ripristinare la loro competitività svalutando le loro monete. Le economie del nord della zona euro hanno dovuto partecipare a salvataggi ripetuti e mettere da parte le loro nozioni di finanza prudente. Un circolo vizioso di risentimento e populismo a Sud e un rafforzamento del nazionalismo al nord stanno lacerando l’unione.

E la crisi non cessa ancora a diminuire. La Francia, la seconda economia più grande d’Europa, sta ora sprofondando in una profonda crisi economica. Come i paesi del sud, ora deve ripristinare la sua competitività, ma come loro, in quanto parte del sistema dell’euro, le manca il mezzo. A causa delle sue dimensioni e per il ruolo guida che ha avuto nello sviluppo dell’UE, la Francia sarà fondamentale per spezzare il circolo vizioso.

Gas di competitività

Prima di tutto, però, cos’è che è andato storto? La moneta unica europea è stata prevista per facilitare il funzionamento dell’economia europea. Con la fissazione del tasso di cambio nominale e l’eliminazione del rischio di cambio, l’euro avrebbe dovuto realizzare la convergenza tra le economie più forti e quelle più deboli dell’area euro, il cosiddetto centro e periferia. Il capitale sarebbe fluito dai paesi con eccedenze nei conti con l’estero verso quei paesi che avevano bisogno di prendere in prestito, aumentando la produttività e la crescita.

La realtà è stata diversa. La moneta unica ha fissato - anzi, peggiorato- il divario di competitività causato dalle differenze nei tassi di inflazione e nei costi unitari del lavoro. Gli squilibri esterni sono cresciuti. Nel 1999-2011, i costi unitari del lavoro (retribuzioni per unità di prodotto) in Grecia, Spagna, Portogallo e Francia sono aumentati rispetto alla Germania dal 19 al 26%.

Nei paesi meno competitivi, questo ha prodotto dei deficit delle partite correnti dal 2 al 10% del prodotto interno lordo nel 2010, e un avanzo delle partite correnti in Germania del 6% del PIL. Escludendo la svalutazione, questi squilibri possono essere affrontati solo in due modi, o con la "svalutazione interna" o attraverso trasferimenti transfrontalieri.

Svalutazione interna significa che i paesi in deficit cercano di ripristinare la competitività attraverso la riduzione della spesa pubblica e l’aumento delle tasse, che sperano possa abbassare i prezzi e i salari in aumento. L’effetto a breve termine sarà quello di indebolire la domanda interna.

A meno che non vi sia una compensazione derivante dall’aumento della domanda estera - con i paesi in surplus, in particolare la Germania che intraprendono una politica di stimolo che aumenti l’inflazione - questo tipo di "austerità" metterà a repentaglio la crescita economica e, quindi, le finanze pubbliche dei paesi in deficit.

Non vi è alcuna prospettiva, però, secondo cui la Germania - insieme ad altri paesi economicamente simili nella zona nord dell’euro - accetteranno di fornire tale stimolo, in quanto ciò sarebbe in contrasto con la loro cultura politica ed economica. Ciò aumenterà i dubbi circa la sostenibilità finanziaria del debito pubblico dei paesi in deficit e la sostenibilità politica delle loro politiche di svalutazione interna.

Stampare moneta

Molti governi debitori preferirebbero avere trasferimenti, sotto forma di denaro stampato dalla BCE - con limiti minori. I funzionari francesi lo hanno detto molto esplicitamente. Ma il meglio che possono sperare sono gli acquisti di titoli di Stato a breve termine della BCE (noti come outright monetary transactions). Se attuati, sarebbero soggetti alle stesse condizioni fiscali rigide applicate ai trasferimenti dal MES.

Quindi, le prospettive per i Paesi debitori della zona euro sono di inasprimento fiscale implacabile e anni di domanda carente. Questo si tradurrà in contrazione o, nella migliore delle ipotesi, stagnante produzione e standard di vita. Nel frattempo, cresce il sentimento anti-UE e in particolare quello anti-tedesco.

Gli Stati Uniti d’Europa possono salvare le sorti di questa fondazione? Alcuni tra i primi fautori dell’euro hanno riconosciuto alla fine degli anni ’90 che il progetto prevedeva che l’"economia avrebbe dovuto guidare la politica." Essi infatti vedevano la moneta unica come un modo per mettere il continente in un corso irreversibile verso la piena unione politica - un obiettivo che elettorati europei avrebbe rifiutato se fosse stato chiesto loro direttamente.

Una maggiore mobilità del lavoro potrebbe essere uno degli aspetti di questa unione. Si potrebbero immaginare le popolazioni dei paesi depressi come la Grecia, il Portogallo, la Spagna e l’Italia migrare verso le ricche Germania e Finlandia. In questo scenario, interi paesi potrebbero finire per somigliare a regioni rurali spopolate - come quelle della Francia nel dopoguerra, quando gran parte dei giovani ben istruiti abbandonavano le proprie case per spostarsi verso le città, lasciando dietro di sé una popolazione in invecchiamento, in gran parte dipendente dalle assicurazioni sociali. Le barriere linguistiche e culturali rendono questa forma di aggiustamento economico comunque improbabile.

Invece, gli appassionati dell’euro puntano le loro speranze sul concetto di un’unione fiscale. I trasferimenti dovrebbero prendere il posto delle migrazioni - e un nuovo quadro di responsabilità politica dovrebbe prevenire gli abusi e permettere di affrontare meglio le tensioni. Purtroppo, anche se questo potrebbe essere fatto, le divergenze di competitività rimarrebbero.

Consideriamo i casi della Germania orientale e del sud Italia. Nella unificazione tedesca del 1990, i salari dell’ex Germania orientale sono stati convertiti in marchi tedeschi 1-a-1, distruggendo in un sol colpo la competitività della Germania orientale.

Trasferimenti tedeschi

In tutti gli anni dopo la riunificazione, la Germania orientale ha ricevuto trasferimenti per il 4% del PIL tedesco. Eppure la convergenza non si è mai verificata - giovani e persone istruite continuano a migrare verso la Germania occidentale. Nemmeno nel Sud Italia, nonostante decenni di trasferimenti, c’è stata la convergenza. La disoccupazione è il doppio di quella del Nord Italia, e il PIL privato pro capite è meno della metà.

E poi c’è la questione politica. I paesi non competitivi della zona euro non possono sperare di ricevere trasferimenti del valore del 25% del loro PIL ogni anno, come ha fatto la Germania orientale, o anche del 16% del PIL, come nel sud Italia.

Qualcosa si deve abbandonare - e dovrà essere il sistema dell’euro. Per preservare l’Unione europea, l’Unione monetaria deve essere smantellata. Il parallelo storico fin troppo rilevante è la difesa del gold standard nel periodo tra le due guerre, che avvicinò quasi a distruggere la democrazia in tutto il mondo. Un solo paese può plausibilmente prendere l’iniziativa in favore di una segmentazione controllata del sistema dell’euro per mezzo di un’uscita concordata congiuntamente dei paesi più competitivi. Questo paese è la Francia.

Il destino dell’Europa è nelle mani delle élite francesi. In linea con le migliori tradizioni politiche della "Fraternité", la Francia dovrebbe promuovere una nuova strategia non nel segno di un nazionalismo, ma della solidarietà europea.

Una suddivisione del sistema dell’euro sarebbe nel migliore interesse della Francia e dell’Europa, perché permetterebbe di accelerare il ritorno alla crescita economica dell’UE- l’unica sicura garanzia di stabilità e di unità europea.

Traduzione italiana a cura di Erika Di Dio. Fonte: Bloomberg

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