Assegno di mantenimento illegittimo: i dettagli della sentenza 20137 della Corte di Cassazione

Alessandro Genovesi

19 Settembre 2013 - 18:00

Assegno di mantenimento illegittimo: i dettagli della sentenza 20137 della Corte di Cassazione

La corte di Cassazione, con la sentenza 20137 dello scorso 3 settembre, ha fissato un importante principio in materia di diritto di famiglia, smontando, dal punto di vista giuridico, l’orientamento che era stato impresso dal tribunale di primo grado e accolto dalla corte d’appello.

Il caso e la decisione dei giudici di merito

Un’impiegata 28 enne, madre di un bambino di 10, aveva adito la magistratura civile chiedendo un vitalizio mensile di 1.500 euro al facoltoso padre, reo di averla riconosciuta solo nel momento in cui la sentenza di primo grado era già stata emanata.
I giudici di merito (tribunale e corte d’appello) fondavano le rispettive sentenze sul dovere morale di riconoscere alla donna le opportunità che le erano state negate e che avrebbe potuto cogliere se fosse stata inserita, come suo diritto, nella famiglia paterna, i cui componenti possedevano un “elevato livello culturale e proporzionati titoli di studio”.

La decisione della Cassazione

La suprema corte smentisce l’impianto giuridico costruito dai primi due gradi di giudizio, smontando una tesi che sicuramente è equa e condivisibile da un punto di vista sociale ma non regge sul piano del diritto.
Nello specifico, infatti, ciò che è stato affermato dai giudici di merito è un obbligo di indennizzare la donna per la perdita di chance, ovvero per perdita di possibilità che invece avrebbe avuto se inserita nel facoltoso nucleo familiare paterno. Qualcosa, dunque, di ben diverso dal più classico assegno di mantenimento per i figli che molto spesso ricorre in seguito a separazioni e divorzi.
A tal proposito la legge dispone che è vero che un assegno di mantenimento deve essere corrisposto dal genitore non convivente al figlio maggiorenne, a patto che, però, esso non abbia ancora raggiunto “uno status di autosufficienza economica consistente nella percezione di un reddito corrispondente alla professionalità acquisita in relazione alle normali e concrete condizioni di mercato”. E proprio qui sta il punto dirimente: la donna ha conseguito una piena autosufficienza economica, avendo un lavoro stabile e retribuito da tempo, di conseguenza non sussiste il diritto a ricevere il mantenimento.

La lettera della sentenza

Di seguito la parte della sentenza che spiega le lacune in punto di diritto delle decisioni dei giudici di merito.
È stato illegittimamente valorizzato il diverso aspetto della responsabilità genitoriale, avente natura squisitamente compensativa e risarcitoria, indebitamente assumendolo a funzione di mantenimento, ma del pari, illegittimamente, stante pure l’assenza di concreti intenti della figlia volti a conseguire, in tempi ragionevoli, traguardi migliorativi in ambito culturale o occupazionale. Si è sostanzialmente colmata la rilevata discrepanza tramite l’attribuzione periodica di una dazione di denaro non correlabile a determinati o determinabili obiettivi temporali e, dunque, perpetua”.

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