In Argentina la crisi del peso spinge i risparmiatori ad acquistare sempre più dollari, nonostante la maxi-penale prevista e la quotazione al mercato nero
L’ennesima crisi economico-finanziaria dell’Argentina, attualmente uno dei paesi meno affidabili sul pianeta sotto il profilo creditizio, sta spingendo i risparmiatori del paese sudamericano a fare incetta di dollari statunitensi sulle aspettative di nuovi forti deprezzamenti della valuta locale.
Da inizio anno il peso argentino ha già perso il 20% circa, con il tasso di cambio USDARS salito fino al livello record di 8,5150. Sul mercato nero, però, il cambio vale quasi il 75% in meno rispetto alla quotazione ufficiale. Da inizio 2014 gli argentini hanno già acquistato 2 miliardi di dollari americani, mentre le riserve valutarie di Casa Rosada sono diminuite ancora a poco più di 27,3 miliardi di dollari.
I risparmiatori argentini possono acquistare liberamente dollari USA al prezzo ufficiale ma sono costretti a mantenerli in banca per almeno un anno, altrimenti viene applicata una tassa ulteriore del 20%. In realtà pare che questa imposta extra non faccia paura a nessuno, visto che dai dati ufficiali emerge che il 90% dei risparmiatori ha comunque preferito ritirare i propri dollari.
Nonostante la valutazione al mercato nero (con il cambio appena inferiore a 15) e la maxi-penale, i risparmiatori riescono comunque ad acquistare il 70% in più dei pesos rispetto al cambio ufficiale. Grazie a questo meccanismo, gli argentini coprono le perdite derivanti dal costante aumento dell’inflazione che ormai viaggia stabilmente a un ritmo superiore al 40% su base annua.
Nonostante i controlli sul movimento dei capitali annunciati dal governo di Buenos Aires, questa prassi continua ad andare avanti innescando un pericoloso circolo vizioso. Tra l’altro le autorità monetarie argentine hanno ormai perso gran parte della loro credibilità, dopo le dimissioni di Juan Carlos Fabrega da governatore della banca centrale e la successiva sostituzione con Alejandro Vanoli, più vicino alle discutibili posizioni del governo guidato da Cristina Fernandez de Kirchner.
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