In Argentina tiene banco l’improvviso crollo della borsa, che ha perso il 14% in due sedute. Pesano le dimissioni di Fabrega, ormai ex governatore della banca centrale
Non c’è pace per l’Argentina, che questa estate è finita per l’ennesima volta in default sul debito a seguito di una sentenza sfavorevole del Tribunale di New York relativamente a una vertenza in atto da tempo con i “fondi avvoltoio” sul rimborso dei Tango Bond. Due giorni fa si è dimesso il governatore della banca centrale di Buenos Aires, ovvero Juan Carlos Fabrega.
La “presidenta” Cristina Fernandez de Kirchner ha già accettato le sue dimissioni. Al suo posto è arrivato Alejandro Vanoli, finora a capo dell’autorità di borsa locale. Ed è proprio la borsa di Buenos Aires a far parlare di sé in queste ultime ore, a seguito di un violento crollo delle quotazioni.
L’indice azionario argentino più importante, il Merval, ha lasciato sul terreno il 6% ma ieri aveva perso già un 8% sull’onda del panic selling provocato dalle dimissioni di Fabrega. Tuttavia bisogna ricordare che da inizio anno la piazza finanziaria sudamericana è stata la migliore al mondo, con una performance superiore al 120% nonostante il recente default tecnico (il secondo negli ultimi tredici anni), la recessione, l’inflazione sopra il 40% e la maxi-svalutazione del peso. La questione del cambio tra il peso argentino e il dollaro americano è stata una delle motivazioni alla base dell’addio di Fabrega.
L’ex governatore della banca centrale argentina era stato criticato dalla Kirchner per la sconcertante situazione sul mercato nero del tasso di cambio, dove il valore del peso è inferiore dell’80% rispetto alla quotazione ufficiale. La presidenta ha denunciato questo mercato illegale, dichiarando che le pressioni sul cambio sono dettate dalla volontà di qualcuno di svalutare ancora il peso.
Secondo la Kirchner “alcuni settori dell’economia vogliono colpire il governo”, che tra l’altro tra un anno dovrà affrontare una campagna elettorale che già si preannuncia incandescente. L’ex governatore della banca centrale veniva considerato un uomo molto vicino ai mercati finanziari, con una visione diametralmente opposta a quella del ministro dell’Economia di Casa Rosada, ovvero Axel Kicillof. Quest’ultimo è più incline a sostenere i consumi, il dimissionario Fabrega voleva limitare l’emissione monetaria per arginare l’iperinflazione.
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