L’allarme di Raytheon mostra il vero volto del caso Ucraina: fordismo 2.0 da warfare

Mauro Bottarelli

28 Aprile 2022 - 12:32

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Il big Usa degli armamenti avvisa: mancano materiali per produrre e rimpiazzare i 1.400 missili Stinger che il Pentagono ha ceduto a Kiev. Una catena di montaggio di morte, insomma. Ma chiamata pace

L’allarme di Raytheon mostra il vero volto del caso Ucraina: fordismo 2.0 da warfare

Greg Hayes è uomo pratico. Concreto. Pragmatico. Tutte doti necessarie per diventare CeO del più grande gruppo di armamenti degli Stati Uniti, Paese appena divenuto leader mondiale di spesa militare con gli 801 miliardi stanziati nel 2021. E, chiaramente, già pronti a un ulteriore aumento di 32 miliardi su base annua per rispondere alla minaccia russa, come chiesto da Joe Biden al Congresso.

Per questo, interpellato riguardo alla tempistica con cui gli Usa potranno rimpiazzare i 1.400 missili Stinger ceduti all’Ucraina per abbattere velivoli russi, il numero uno di Raytheon ha sentito il dovere di essere sincero e molto diretto: Attualmente il mio gruppo sta producendo Stinger per clientela estera e ci rimane uno stock molto limitato di materiali necessari a un output più intensivo., D’altronde, il Dipartimento della Difesa non ha più acquistato missili Stinger per 18 anni e gran parte delle componenti sono quindi commercialmente indisponibili, quindi abbiamo dovuto ridisegnare giocoforza le parti elettroniche delle testate di guida del missile. Quindi ci vorrà tempo prima di poter produrre su larga scala, tanto che non mi attendo ordini di Stinger da parte del governo prima del 2023-2024.

A meno che gli stanziamenti per il warfare, capaci a livello globale di superare per la prima volta i 2 trilioni di dollari nel 2021, quest’anno non subiscano un’ulteriore, parabolica impennata. D’altronde, sia gli Usa che il presidente Zelensky sono stati abbastanza chiari: la guerra potrebbe proseguire per tutto il 2022. A voglia quanti Stinger serviranno! Peccato che la lobby democratica che fa riferimento alla comunità irlandese d’America negli anni passati abbia venduto tutti i missili recuperati dalla campagna afghana contro l’Armata rossa all’Ira per abbattere gli elicotteri alleati di Sua Maestà in Irlanda del Nord, prima dell’accordo Good Friday. Sarebbero tornati utili, quantomeno a livello di componentistica. Perché il business della guerra appare un affare da sfasciacarrozze, dove si va a cercare il pezzo di ricambio fuori commercio per la propria auto d’epoca.

Controvalore annuale delle spese militari globali divise per area geografica Controvalore annuale delle spese militari globali divise per area geografica Fonte: SIPRI

Ma non disperiamo. Il Pentagono, dimostrando un tempismo invidiabile, non più tardi della fine del 2021 ha inviato una richiesta per la produzione di missili a guida infrarossa di nuova generazione per utilizzo terra-aria, bandendo una gara la cui data è stata fissata per il 2023, calcolando quindi una consegna fisica per l’utilizzo non prima del 2028. E se quel contratto bruciasse le tappe, a fronte di stanziamenti senza precedenti? D’altronde, dopo aver mostrato al mondo il suo razzo ipersonico, non più tardi di ieri Vladimir Putin ha parlato chiaramente di armi segrete pronte a essere utilizzate in risposta a interferenze occidentali. Quasi certamente, la parata militare sulla Piazza Rossa del 9 maggio, giorno della Vittoria sul nazi-fascismo, servirà da vetrina per alcuni di questi nuovi strumenti offensivi e letali. Suscitando ovvio e scontato sdegno da Washington a Bruxelles e garantendo al comparto bellico-industriale commesse come non se ne vedevano dai tempi del Muro di Berlino.

Insomma, chi teme una nuova Guerra Fredda pare ragionare con la medesima logica di Greg Hayes. Il quale difficilmente si lancerebbe in allarmi così sfrontati, parlando comunque di strumenti di morte e non di monopattini elettrici di ultima generazione, se non fosse convinto che l’opinione pubblica sia nella migliore delle ipotesi favorevole a un riarmo contro l’evil empire e nella peggiore - ma non certo più peregrina - totalmente indifferente a cosa garantirà brio a un Pil già in rallentamento sostanziale. Il problema vero è se restare o meno su Twitter, ora che è divenuto proprietà di Elon Musk. O se rischiare di restare intrappolati dall’innalzamento dei gates nel business ESG, mentre il mondo giocoforza riparla di petrolio, carbone e gas. Il warfare è storicamente motore di crescita, il moltiplicatore miracoloso da mettere in campo per contrastare non solo ogni recessione ma anche ogni sgonfiamento della bolla di turno, a rischio di andamento incontrollato.

Nulla di cui stupirsi, quindi. Sarebbe ipocrita. L’uomo ha sempre fatto guerre, continua a farle e sempre le farà. E’ nella sua natura, forse prima ancora che in quella del potere per persegue e amministra. E se gli Usa accolgono il grido di dolore e preoccupazione di Greg Hayes con materna comprensione e predisposizione al sostegno, certamente Russia e Cina non stanno a guardare. E stante gli stanziamenti record della Germania (100 miliardi per le spese militari) e le mosse in tal senso dello stesso governo italiano, anche l’Ue alle soglie della recessione e con la Bce in cerca d’autore non sta perdendo tempo nel salire sul carro del fordismo da warfare 2.0.

Perché tale è, una catena di montaggio di morte e distruzione. Spacciata da un lato come difesa della democrazia globale e dall’altro come trincea contro l’allargamento Nato. Insomma, prendiamo atto che dopo i Qe da subprime, debiti sovrani, recessioni da terrorismo globale e guerre commerciali e infine Covid, ora il doping sarà sotto forma di warfare. D’altronde, le Banche centrali devono poter respirare. Ma per pietà, evitiamo almeno di spacciarlo come mezzo per ottenere la pace. O, peggio, chiamarlo direttamente con quel nome.

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