Ancora una volta i segnali che dovrebbero far prevedere un consolidamento della ripresa sono ambigui. Gli Stati Uniti rischiano la recessione, e l’Italia?
Il 2016, come tutti gli anni dall’inizio di quella che sembra ormai una crisi perenne nella quale vengono reiterati provvedimenti di politica economica che sortiscono scarso, se non nessun, effetto, è stato propagandato dalla “Pravda” governativa come l’anno del consolidamento della ripresa economica.
A parte il fatto che questa ripresa non è che nel 2015 si sia vista poi molto, se non in percentuali da prefisso telefonico - ma esprimersi in questi termini vuol dire essere immediatamente appellati con l’epiteto di “gufi” - sembra che le previsioni prescindano, ancora una volta, sia dai fatti che dalla logica.
E non è una questione di essere gufi o pessimisti; dopo anni ed anni di crisi, fallimenti e truffe, la solita mera retorica ottimistica di vedere il bicchiere sempre mezzo pieno, oltre ad essere ormai un palese esercizio di pura demagogia, comincia anche a stancare e a non sortire più nessun effetto.
Forse, visto anche le recenti vicende di fine anno passato con i “salvataggi” bancari – salvataggi che al momento, stranamente, non hanno salvato i risparmiatori – e la pessima figura rimediata, sarebbe auspicabile, da parte del governo, invece della solita spacconeria ed arroganza, un atteggiamento più “allineato e coperto”.
Detto questo, a parte l’ormai nota frenata nella crescita dell’economia cinese, alcune notizie di questi giorni non fanno pensare al 2016 come un anno di idillio economico nel quale possa essere facile, per l’Italia, consolidare una ripresa già flebile di per sé.
Infatti, il basso prezzo del petrolio, inizialmente salutato come un fattore positivo che avrebbe creato una congiuntura economica mondiale favorevole, si sta rivelando un boomerang.
Class CNBC riporta di un prezzo del petrolio che potrebbe scendere fino a 15$ al barile, questo potrebbe ridurre troppo i profitti e, come riportato dal The Wall Street Journal, di conseguenza mettere in difficoltà e portare al fallimento fino ad un terzo dei produttori di petrolio americani.
Inoltre il basso prezzo del petrolio ha già causato una crisi valutaria sui mercati emergenti nel 2015 e proprio ieri C. Lagarde, la Presidente del FMI, chiedeva un aiuto per i mercati emergenti a causa delle difficoltà sperimentate dagli stessi per la continua diminuzione del prezzo del petrolio.
Infine, è sempre di questi giorni che un analista della Royal Bank of Scotland consiglia di vendere tutto prima di un crollo del mercato. Ovviamente, si può dire che “una rondine non fa primavera” e la previsione di un analista, su un giornale, può essere errata, come ne abbiamo viste tante. Ma anche Bloomberg rilancia con i junk-bond spreads.
Il grafico sotto riportato – come visto di fonte sempre Bloomberg - che in neretto si chiede se siamo di fronte ad una recessione, sostiene che i junk-bond spreads (gli spread dei titoli spazzatura) possano segnalare un problema. La linea gialla misura la differenza (spread e/o differenziale di prezzo) della rendita alla scadenza tra i titoli ad alto rendimento di Bank of America Merrill Lynch e l’indice del Tesoro e dell’agenzia [Lehmann, Livian, Fridson Advisors LLC].
Secondo i calcoli dell’agenzia che raccoglie queste informazioni dal 1986, utilizzando i dati di Bank of America Merrill Lynch, ed in accordo con il recente report di Standard & Poor’s Capital IQ Leveraged Commentary & Data, il 7,39% in più che gli investitori chiedono, rispetto ai titoli del Tesoro americano, significa una probabilità che gli USA entrino in recessione, nel giro di un anno, del 44%.
Quindi, tirando le fila, il basso prezzo del petrolio, oltre a mettere in difficoltà un terzo dei produttori americani di petrolio, facendogli rischiare il fallimento, sta mettendo ancora in difficoltà anche i mercati emergenti, perpetuando una crisi valutaria iniziata proprio a causa della diminuzione del prezzo del petrolio stesso.
Gli investitori americani chiedendo alti rendimenti fanno temere di essere di fronte ad un’altra recessione. La grande tigre asiatica frena. I segnali che arrivano dall’Europa – l’imposizione di ulteriore austerità in Grecia, le procedure di bail-in applicate in Italia dopo Cipro, il QE di Draghi che sta funzionando talmente bene che se lo sono già dimenticati tutti, ecc. ecc. - non sono incoraggianti.
Ed in mezzo a questa congiuntura economica mondiale, di revisioni di crescita al ribasso, un paese che cresceva meno degli altri quando tutti crescevano, dovrebbe ora crescere più degli altri quando tutti frenano?! E questo grazie a delle riforme strutturali continue (riforme, riforme, sempre riforme) attuate negli anni e che non hanno praticamente sortito effetti?! Le crisi non si risolvono certo con il pessimismo ed i piagnistei, ma nemmeno con un inveterato ottimismo di maniera fatto di vuota retorica, abietta demagogia e squallida propaganda mediatica.
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