Mercati: dove esploderà la prossima bolla?

Marco Ciotola

23 Giugno 2018 - 13:00

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Mercati finanziari: dove esploderà la prossima bolla? Le previsioni degli esperti puntano ad un settore fino ad ora trascurato.

Mercati: dove esploderà la prossima bolla?

Il vertiginoso calo del prezzo delle energie rinnovabili e la rapida crescita degli investimenti in tecnologie a basse emissioni di carbonio potrebbero lasciare alle imprese di combustibili fossili migliaia di miliardi di attività bloccate e innescare una crisi finanziaria globale.

A rivelarlo uno studio, secondo cui sono molte le probabilità di andare incontro a un improvviso calo della domanda di combustibili fossili prima del 2035, visto l’attuale stato degli investimenti e i vantaggi economici derivanti da una transizione verso le basse emissioni di carbonio.

L’esistenza di una cosiddetta “bolla del carbonio” - che si riferisce alla sopravvalutazione degli asset in combustibili fossili, costretta però a scontrarsi con una riduzione drastica di emissioni di gas serra, l’efficienza sempre maggiore delle energie rinnovabili e delle tecnologie green - è stata a lungo evidenziata da accademici, attivisti e investitori.

Il nuovo studio, pubblicato la scorsa settimana sulla rivista Nature Climate Change, mostra come un brusco calo del valore dei combustibili fossili provocherebbe lo scoppio di questa bolla, e ipotizza che una simile crisi potrebbe arrivare prima del 2035 stando agli attuali standard di consumo energetico.

In altre parole, continuare a investire in carbone gonfierà anche il valore dei titoli delle aziende con esso operanti. La transizione energetica, però, renderà le riserve di fonti fossili inutilizzata e priva di valore. Gli investitori scapperanno dalle relative società con evidenti conseguenze sul fronte dei titoli. Miliardi di dollari potrebbero andare in fumo.

Crolla la domanda di combustibili fossili: un passaggio slegato dalla politica?

In sostanza i risultati suggeriscono che un rapido declino della domanda di combustibili fossili non dipende più da politiche e azioni forti intraprese dai governi di tutto il mondo. Le simulazioni dettagliate degli autori hanno infatti evidenziato come il calo della domanda si sarebbe verificato anche se i Paesi principali non avessero dato avvio a nuove politiche climatiche o cambiato alcuni impegni precedenti.

Questo perché i progressi delle tecnologie per l’efficienza energetica e le rinnovabili - e il conseguente calo del loro prezzo - hanno reso l’energia a basse emissioni di carbonio molto più economica e tecnicamente interessante.
Il dottor Jean-François Mercure, autore principale dello studio e professore alle università di Radboud e Cambridge, ha dichiarato al Guardian che una bolla del carbonio di fatto è già in corso:

“Abbiamo osservato i dati e da lì fatto le nostre proiezioni. Con un incremento delle politiche da parte dei governi, questo processo andrebbe avanti più velocemente. Ma anche senza politiche climatiche forti sta già accadendo. In un certo senso è impossibile fermarlo. Ma se ora le persone smettessero di investire in combustibili fossili potrebbero almeno limitare le loro perdite”.

Passando a un basso livello di emissioni di carbonio, le aziende e gli investitori potrebbero trarre vantaggio dalla trasformazione del settore in atto, piuttosto che cercare di combatterla. Secondo Mercure le società che producono combustibili fossili potrebbero preferire competere tra di loro per la fetta rimanente di mercato invece di provare ad avere un forte impatto sulle imprese di energia rinnovabile.

Il prof. Jorge Viñuales, co-autore dello studio, ha dichiarato che contrariamente alle aspettative degli investitori l’abbandono delle risorse di combustibili fossili può andare avanti anche senza nuove politiche climatiche:

“I Paesi non possono evitarlo ignorando l’accordo di Parigi o facendo finta che non sia successo nulla”.

Accordo di Parigi: economia e tecnologia si adeguano

Secondo Mercure la transizione energetica sta avvenendo troppo lentamente per evitare i peggiori effetti del cambiamento climatico. Sebbene si continui ad andare spediti verso un’economia a basse emissioni di carbonio, limitare l’incremento del riscaldamento medio globale al di sotto dei 2 gradi Celsius - il limite fissato dall’accordo di Parigi - richiederebbe interventi governativi molto più drastici e politiche nuove. Ma potrebbe anche aiutare gli investitori, indicando la strada per ridimensionare la bolla del carbonio prima di investire ancora in attività di combustibili fossili.

Il documento sostiene il punto di vista di alcuni esperti in materia di politica e investimenti, secondo cui l’economia e la tecnologia stanno ora spingendo verso un cambiamento climatico, mentre prima la spinta veniva tutta dalla politica.

L’ex responsabile del clima delle Nazioni Unite Christiana Figueres ha dichiarato al Guardian - un anno dopo l’abbandono dell’accordo di Parigi da parte degli Stati Uniti - che c’è una grande differenza tra economia del cambiamento climatico e politica del cambiamento climatico, e che Trump non ha affatto intenzione di arrestare in qualche modo il passaggio delle aziende verso tecnologie a basse emissioni di carbonio.

Frédéric Samama di Amundi, ritiene inoltre che gli investitori abbiano raggiunto un “punto critico” in relazione a come considerare i gas ad effetto serra nel loro portafoglio, visto che solo fino a poco tempo fa non prendevano minimamente in considerazione la questione del cambiamento climatico.

All’opposto, secondo un’altra analisi effettuata da Nature Energy la domanda globale dovrebbe diminuire di circa il 40% rispetto a quella attuale entro il 2050, nonostante l’aumento della popolazione, del reddito e l’economia in crescita. Gli autori hanno anche sottolineato come uno scenario del genere permetterebbe al mondo di rimanere entro un aumento di 1,5 gradi del riscaldamento globale; il che vorrebbe dire rispettare l’ambizioso obiettivo fissato dall’accordo di Parigi.

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