Crescono i rischi sistemici legati alle stablecoin, che ora detengono più titoli del Tesoro USA a breve termine di Cina e altri investitori esteri. E le regole? Ancora troppo vaghe.
Per anni le criptovalute sono state considerate una nicchia speculativa, popolata da appassionati di tecnologia, investitori audaci e qualche idealista libertario. Ma oggi, con l’esplosione del fenomeno stablecoin, stiamo assistendo a una pericolosa convergenza tra il mondo cripto e i pilastri della finanza tradizionale — al punto che i rischi sistemici non sono più un’ipotesi accademica, ma una concreta minaccia globale.
Le stablecoin sono monete digitali ancorate, in teoria, a valute fiat come il dollaro. Le più diffuse — Tether (USDT) e USDC di Circle — sono progettate per mantenere un valore stabile grazie a riserve equivalenti in asset reali. Questa “stabilità” ha permesso loro di diventare l’architrave del mercato cripto, fungendo da ponte tra la speculazione digitale e il mondo economico reale.
Ma se in passato l’ecosistema cripto sembrava confinato nel suo recinto digitale, oggi l’interconnessione è profonda. Secondo uno studio recente della Bank for International Settlements, quando i flussi verso le stablecoin aumentano, gli operatori convertono i fondi ricevuti in riserve sotto forma di titoli del Tesoro americano a breve termine. E quando questi flussi si invertono — cioè, quando gli utenti riscattano le loro stablecoin — quelle stesse riserve devono essere vendute rapidamente, influenzando direttamente i mercati. [...]
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