Questa startup editoriale aveva raccolto più di €20 milioni. Ma ora è in liquidazione

Giorgia Paccione

17 Giugno 2025 - 16:50

Ag Digital Media annuncia la liquidazione di Freeda: la media company nata a Milano nel 2016 non ce l’ha fatta nonostante il sostegno di grandi investitori. Ecco perché.

Questa startup editoriale aveva raccolto più di €20 milioni. Ma ora è in liquidazione

Freeda, startup editoriale fondata a Milano nel 2016 da Gianluigi Casole e Andrea Scotti Calderini, era diventata in pochi anni uno dei casi più discussi dell’editoria digitale italiana. Il progetto, pensato per parlare alle nuove generazioni e in particolare al pubblico femminile, aveva saputo intercettare l’interesse di importanti investitori italiani e internazionali, tra cui spiccano nomi come Ginevra Elkann, Luigi Berlusconi, Remo Ruffini (Moncler), la famiglia Rovati e il fondo francese Alven Capital V, che deteneva la quota di maggioranza relativa con il 32,28% del capitale sociale.

Nel giro di pochi anni, Freeda era riuscita a raccogliere oltre 20 milioni di euro di finanziamenti attraverso due round principali: uno da 10 milioni di dollari nel 2018 e un secondo, nel 2019, da 16 milioni di dollari guidato da Alven Capital, UniCredit ed Endeavor Catalyst. L’azienda aveva raggiunto una presenza significativa sui social network, con milioni di follower e una community molto attiva, tanto da essere considerata tra i brand digitali italiani più promettenti.

Nonostante queste premesse, nel 2025 la società madre, Ag Digital Media, ha annunciato l’avvio della procedura di liquidazione volontaria. Ecco cosa è successo.

Dalla crescita record alla crisi: cosa è successo a Freeda

La traiettoria di Freeda è stata caratterizzata da una crescita rapida e da un’altrettanto rapida inversione di tendenza. Dopo i primi anni di successo, che avevano visto l’azienda espandersi anche all’estero con uffici a Madrid e Londra e un organico che ha raggiunto i 250 dipendenti, sono emersi i primi segnali di difficoltà. La pandemia di Covid-19 ha avuto un impatto pesante sui conti della società, che non è riuscita a sostenere i costi delle sedi internazionali e ha dovuto ridimensionare la propria presenza fuori dall’Italia.

Nonostante il tentativo di diversificare il modello di business, con la creazione di una business unit dedicata ai servizi di marketing digitale (Freeda Platform), che è stata capace di generare oltre 20 milioni di euro di ricavi in tre anni, la società ha subito nel 2024 la perdita di alcuni contratti chiave, con una conseguente riduzione del fatturato del 30%. Questo calo ha messo in crisi la solidità finanziaria dell’azienda, già appesantita da debiti finanziari verso le banche per circa 9 milioni di euro e da obbligazioni legate alla gestione operativa per ulteriori milioni.

Nel tentativo di evitare la liquidazione, Ag Digital Media aveva provato a cedere la divisione media e la piattaforma tecnologica, ma le trattative non sono andate a buon fine. Così, nei primi mesi del 2025, la società ha avviato la procedura di composizione negoziata della crisi, per poi arrivare alla decisione definitiva di liquidazione volontaria.

Un fallimento che interroga l’intero settore

Nonostante il sostegno di grandi investitori e una community ampia e coinvolta, dunque, la startup non è riuscita a trovare un modello di business sostenibile nel lungo periodo. Il ricorso massiccio al branded content e alla pubblicità digitale, pur avendo garantito ricavi importanti nella fase iniziale, si è rivelato insufficiente a fronteggiare i cambiamenti strutturali del mercato e la crescente difficoltà nel monetizzare le grandi audience social.

Quella di Freeda, però, non è solo la storia di una startup che non ce l’ha fatta, ma anche uno spunto di riflessione sulle sfide che attendono l’editoria digitale nei prossimi anni. Dalla sua esperienza è infatti possibile apprendere alcune lezioni chiave:

  • la raccolta di capitali non basta: anche gli investimenti importanti non garantiscono la sostenibilità se non accompagnati da un modello di business solido e adattabile;
  • la dipendenza dai social è un rischio: algoritmi e trend possono cambiare rapidamente e mettere a rischio la monetizzazione;
  • la diversificazione è fondamentale: puntare su più fonti di ricavo e su prodotti/servizi a valore aggiunto può aiutare a superare le crisi di mercato.

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