Questa azienda italiana sta per fallire con un buco da $4,9 miliardi

Claudia Cervi

21 Giugno 2025 - 16:51

Da anni sotto controllo estero, ora il fallimento negli Stati Uniti ha conseguenze pesanti anche sugli stabilimenti e sull’occupazione nel nostro Paese.

Questa azienda italiana sta per fallire con un buco da $4,9 miliardi

C’è un’azienda che ha scritto alcune delle pagine più importanti dell’industria italiana. Una realtà storica, fondata più di un secolo fa, cresciuta a fianco dei grandi nomi dell’automotive, esportata in tutto il mondo come simbolo dell’eccellenza tecnologica tricolore. Era il fiore all’occhiello del nostro saper fare, della manifattura evoluta, della meccanica di precisione. Un brand che tutti conoscevano, dagli operai della Val Padana agli ingegneri giapponesi, passando per i manager tedeschi e americani.

Oggi, quella stessa azienda è sull’orlo del fallimento. Con un buco da 4,9 miliardi di dollari, ha presentato istanza di fallimento negli Stati Uniti. Un colosso in ginocchio, divorato da anni di speculazioni finanziarie, cessioni opache, incapacità politica e indifferenza generale.

Perché questa non è solo una storia industriale. È il racconto amaro di come un patrimonio italiano sia stato svenduto, pezzo dopo pezzo, a investitori stranieri più interessati al ritorno a breve che alla crescita sostenibile. E mentre altri governi avrebbero alzato barricate per proteggerla, da noi nessuno ha mosso un dito. Nemmeno facendo appello al golden power, che avrebbe potuto fermare la cessione.

Oggi ne paghiamo il conto. I lavoratori tremano, la politica tace, i sindacati arrancano. Il disastro si consuma, nel silenzio assordante di un Paese che sembra aver dimenticato cos’è davvero l’industria.

Tutti i numeri dietro al fallimento di Magneti Marelli

La notizia arriva direttamente dagli Stati Uniti. Magneti Marelli ha presentato istanza di fallimento presso il Tribunale del Delaware, con un’esposizione debitoria di 4,9 miliardi di dollari. Un epilogo amaro (ma atteso), risultato di anni difficili segnati da crisi industriali, cambi di proprietà e scelte a dir poco discutibili.

Fondata nel 1919 da Giovanni Agnelli e Ercole Marelli, l’azienda era diventata un leader globale nella componentistica auto. Ma nel 2019 FCA l’ha venduta ai giapponesi di CK – Calsonic Kansei per 6,2 miliardi di euro, senza che lo Stato italiano muovesse un dito. Nessun golden power. Nessuna tutela. Solo il via libera a una delle più delicate dismissioni del comparto manifatturiero italiano.

Il passaggio successivo, nel 2022, ha visto Magneti Marelli finire nelle mani del fondo statunitense KKR, che oggi, sommerso dai debiti, si sfila senza ulteriori ricapitalizzazioni. A prendere il controllo potrebbe essere SVP (Strategic Value Partners), affiancato da Fortress, Mbk e Deutsche Bank. È già sul tavolo un finanziamento ponte da 1,1 miliardi di dollari per garantire la continuità operativa durante la procedura di Chapter 11. Ma è solo un primo passo.

In Italia la situazione è drammatica, con oltre 6.000 lavoratori coinvolti e stabilimenti in crisi da anni, come quello di Sulmona, con 460 dipendenti, già da tempo sotto contratto di solidarietà. A Crevalcore, nel bolognese, sono 550 le persone che attendono risposte. Gli esuberi sono aumentati da 85 a 147 e i sindacati chiedono un tavolo urgente con il Governo.

Nel frattempo, l’Italia perde l’ennesimo pezzo di industria, svenduto e sacrificato sull’altare del profitto di breve periodo. E il conto, come sempre, lo pagano i lavoratori.

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