Quattro dividendi quasi perfetti, tra sostenibilità e rischio nascosto. Un equilibrio sottile che cambia tutto.
Negli investimenti a dividendo si tende a guardare subito un numero: quanto rende. Sembra facile, no? Se un titolo distribuisce qualcosa vicino al 5%, ci si illumina. Ma è davvero così semplice? In realtà no. Perché un dividendo può essere alto e allo stesso tempo totalmente insostenibile. E quindi la domanda vera è un’altra: quanto è affidabile quel dividendo? Quanto è “ordinato”, stabile, replicabile?
Il primo passo è capire due concetti cardine. Il primo è il payout ratio: se un’azienda distribuisce agli azionisti il 50% degli utili, significa che ogni euro guadagnato viene spaccato a metà, una parte agli investitori e una parte reinvestita nel business. È sano, equilibrato, perché evita di cannibalizzare il bilancio. Sopra certe soglie, invece, il dividendo diventa “distruttivo”: l’azienda paga più di quanto produce, e ciò mette a rischio la sostenibilità futura. Il secondo concetto è la crescita del DPS. Perché un dividendo non dovrebbe essere una scelta casuale, ma una traiettoria. Una crescita positiva del dividend per share indica disciplina finanziaria, una politica di lungo periodo, una strategia.
Certo, nulla garantisce il futuro, ma è un buon inizio. E quando si applicano questi filtri qualcosa emerge. Apriamo gli strumenti di screening (come quello di TradingView) e osserviamo quattro nomi italiani che, pur con differenze significative, mostrano equilibrio tra rendimento e sostenibilità.
1) UniCredit: rendimento 4,47%, payout 42%, crescita DPS 30%
Partiamo da UniCredit, che negli ultimi anni sta riscrivendo completamente la propria politica di ritorno agli azionisti. Un rendimento del 4,47% è già competitivo rispetto alla media europea, ma la cosa che sorprende di più è il payout ratio del 42%.
Significa che meno della metà degli utili viene distribuita in dividendi: un livello estremamente sostenibile, soprattutto per un istituto finanziario che deve mantenere elevati coefficienti patrimoniali. L’azienda conserva margini per reinvestire, accrescere capitale, consolidare la posizione competitiva.
La crescita del DPS di circa il 30% annuo testimonia un percorso strutturato. Non è un “dividendo acceso e spento”, ma un trend coerente con l’espansione degli utili e con un modello di gestione del capitale molto rigido e disciplinato.
Naturalmente ciò non garantisce gli investitori contro eventuali oscillazioni del prezzo. Anche un dividendo eccellente può convivere con alta volatilità se cambia il contesto macro, la redditività bancaria o la percezione del settore.
2) Poste Italiane: rendimento 5,33%, payout 68%, crescita DPS 35%
Poste rappresenta uno dei casi italiani più singolari: un’azienda che opera in un mix di servizi, assicurativi, finanziari, logistici, con un modello quasi ibrido, difficile da paragonare ad altre società europee.
Un rendimento del 5,33% attira subito l’attenzione. Il payout del 68% è più alto di quello di UCG, ma rimane entro una soglia potenzialmente sostenibile.
Il DPS cresce intorno al 35%, valore considerato robusto. Anche qui non si tratta di un caso estemporaneo: è una progressione che segue la crescita dell’utile netto, delle attività assicurative e della componente di risparmio gestito.
Detto ciò, anche Poste non è immune dalle oscillazioni: basta un cambio normativo, un calo nella distribuzione dei pacchi o pressioni competitive per influenzare il prezzo del titolo. Il dividendo non elimina il rischio, lo rende semplicemente più razionale.
3) Tenaris: rendimento 4,04%, payout 44%, crescita DPS 36%
Il settore energy-equipment è ciclico, volatile, molto sensibile alla domanda globale di petrolio e gas. E qui entra in scena Tenaris, con un dividend yield del 4,04% e un payout del 44%. Un livello che, in un settore fortemente ciclico, è quasi da manuale: il gruppo paga meno della metà degli utili, si tiene ampio margine per affrontare periodi di volatilità delle commodity, investe in tecnologia e capacity building.
Una crescita del DPS vicina al 36% è un segnale chiaro di forza finanziaria. Anche qui, ordine e disciplina. Le aziende cicliche spesso alternano anni grassi e anni magri; Tenaris, invece, sta cercando di stabilizzare una politica di ritorno al capitale più prevedibile.
Ovviamente ciò non evita oscillazioni negative: basta un ribasso del prezzo del petrolio o un calo degli ordini delle major per far muovere il titolo anche in modo brusco.
4) Intesa Sanpaolo: rendimento 6,08%, payout 69%, crescita DPS 15%
Intesa è il caso più borderline del gruppo. Un rendimento del 6,08% è molto generoso, ma il payout del 69% mette una prima spia accesa: non è insostenibile, ma inizia ad avvicinarsi ai limiti fisiologici per una banca.
La crescita del DPS è positiva, intorno al 15% annuo. Buona, ma meno esplosiva rispetto agli altri esempi.
Perché definirlo un dividendo ordinato? Intesa segue una politica molto chiara: redistribuire una quota elevata degli utili, grazie alla stabilità del business retail, commissionale e assicurativo interno.
Quindi…
Quattro titoli, quattro realtà differenti, un unico filo conduttore: sostenibilità. Un dividendo alto non basta, anzi può essere fuorviante se non supportato dai numeri. Questi esempi mostrano che, quando il rapporto tra utili distribuiti e utili generati rimane sano, la politica di dividendo può diventare un pilastro dell’investimento.
Ma ricordiamoci una cosa: nessun dividendo è una garanzia. Nessun rendimento elimina il rischio. E nessun passato garantisce un futuro lineare. L’obiettivo non è creare FOMO, ma sensibilizzare alla lettura dei dati reali, alla qualità del business e alla disciplina finanziaria. In un mercato che corre, rallentare e osservare è spesso il miglior investimento.
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