Perché un’offensiva di Israele su Rafah va evitata assolutamente

Luna Luciano

11 Febbraio 2024 - 11:39

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Israele si prepara a bombardare e attaccare Rafah via terra. Un attacco che si trasformerebbe in una catastrofe umanitaria, senza contare i rischi di un’escalation. Ecco cosa rischia di accadere.

Perché un’offensiva di Israele su Rafah va evitata assolutamente

Un attacco a Rafah si trasformerebbe in una catastrofe umanitaria. È questo l’allarme a livello internazionale lanciato dalla ministra degli Esteri tedesca Annalena Baerbock.

Un allarme che giunge subito dopo l’ordine del primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, di evacuare i civili da Rafah. Israele si prepara quindi a un altro massiccio e terribile attacco nella Striscia, questa volta a Sud, l’area indicata inizialmente come sicura, quando l’esercito israeliano attaccava il Nord di Gaza.

L’obiettivo delle Forze di difesa (Idf) è la città di Rafah dove si calcola vivano attualmente 1,2 milioni di persone, compresi moltissimi palestinesi che hanno abbandonato il nord della Striscia. Adesso non esiste alcun posto sicuro nella Striscia. E il genocidio dei palestinesi non si ferma.

L’attacco a Rafah, oltre a essere una catastrofe umanitaria annunciata, sembra confermare quel piano sionista di eliminare i palestinesi dalla Striscia, occupando militarmente una terra - una prigione a cielo aperto - di cui già deteneva il controllo totale. Ma non solo, un attacco a Rafah minaccia la sicurezza nell’area mediorientale.

Ecco quali sono i rischi un attacco a Rafah e di un genocidio a cui l’Occidente guarda restando immobile.

L’offensiva di Israele su Rafah? Una catastrofe umanitaria

Le parole di Baerbock non lasciano adito a dubbi: “L’offensiva di Israele contro i civili sarebbe una catastrofe umanitaria annunciata”. La Ministra ha preso posizione nel dibattito e ha ricordato a Netanyahu che “la popolazione di Gaza non può sparire nel nulla”. Ma non solo. Anche l’Onu condanna il piano di Netanyahu, ricordando le atroci sofferenze a cui è stato posto un popolo che sta vivendo un massacro:

Molte delle oltre un milione di persone che compongono oggi la popolazione di Rafah hanno sopportato sofferenze impensabili. Dove dovrebbero andare? Come dovrebbero stare al sicuro?

A colpire infatti è la totale assenza di un rifugio o luogo sicuro in cui i civili possano rifugiarsi: attaccando il Sud, attaccando Rafah, Israele sta costringendo le persone a un esodo verso il Nord della Striscia - dove non c’è niente a cui far ritorno e dove la presenza militare spaventa la popolazione - oppure in Egitto, dove però c’è il rischio di escalation militare.

Ancora il sottosegretario per gli Affari umanitari dell’Onu, il britannico Martin Griffiths ha ricordato che nella zona si trovano ammassati più della metà dei 2,3 milioni di abitanti (la stima è tra 1,2-1,5 milioni) per potersi mettere in salvo dalla violenza e distruzione israeliana A oggi, 11 febbraio 2024 la conta macabra dei corpi, rivela che dal 7 ottobre ben 28.176 persone hanno perso la vita, soprattutto donne, bambini e adolescenti e sono ben 67.784 i feriti.

Nel frattempo, i bombardamenti si sono concentrati nel Sud di Gaza, provocando la morte di 44 persone nella città di Rafah nelle ultime 24 ore, circa la metà erano bambini. Ma all’attacco aereo Netanyahu ha chiesto un attacco via terra e di completare l’operazione di terra entro l’inizio del Ramadan, previsto per il 10 marzo.

Hamas, intanto, ha chiesto la convocazione immediata del Consiglio di sicurezza dell’Onu, adottando una risoluzione drastica che garantisca “che l’occupazione israeliana sia costretta a fermare la guerra di genocidio”, ricordando che un attacco a Rafah si trasformerebbe in una “una catastrofe globale e un massacro che potrebbero lasciare decine di migliaia di martiri e feriti”.

Monito dell’Egitto, con l’offensiva di Israele su Rafah si rischia un’escalation

Sul rischio umanitario, si allunga l’ombra anche del rischio di un’escalation in Medio Oriente. L’attacco di Rafah metterebbe in crisi i già precari equilibri in Medio Oriente.

A ricordalo è stato l’Egitto, il quale ha avvertito che qualsiasi operazione di terra o spostamento di massa attraverso il confine minerebbe il trattato di pace con Israele, che dura da ormai circa 40 anni.

Sempre da Al Cairo spiegano che lo spazio è limitato e con l’attacco a Rafah non solo si sottoporrebbe la regione a forti stress, con rischi di disordine, ma provocherebbe un’ulteriore escalation militare, come dichiarato il ministro degli Affari Esterni egiziano Sameh Shoukry. Gli stretti legami di sicurezza tra i due Paesi, sigillati dagli accordi del 1979, rischiano di venir meno.

Inutile dirlo. Il Medio Oriente è una polveriera pronta a esplodere, basterebbe un passo falso. Eppure, ciò che veramente dovrebbe essere sotto gli occhi di tutti è un genocidio che va avanti dal 7 ottobre e che l’Occidente guarda fermo nel suo immobilismo. Immobilismo di cui chiederanno il conto le generazioni future.

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