Gli Stati Uniti hanno deciso di bombardare l’Iran. C’è il concreto rischio di un’escalation internazionale. Ecco cosa sta accadendo, perché Trump ha preso questa decisione e quali sono i rischi.
La storia sembra ripetersi e questa volta il rischio di un’escalation è quanto mai pericolosamente concreta: Donald Trump ha deciso di bombardare l’Iran.
Senza l’approvazione del Congresso, il presidente degli Stati Uniti ha deciso di affiancare Israele e il genocida Benjamin Netanyahu nella sua guerra personale contro l’Iran. Sono ore buie per il Medio Oriente e per il resto della comunità internazionale: tradendo la sua politica anti-interventista, Trump ha deciso di proseguire una missione che mette in pericolo la sicurezza regionale e internazionale.
La decisione di bombardare l’Iran, infatti, arriva in un contesto già altamente instabile. Trump, secondo quanto riportato dal New Yorker, avrebbe ordinato ai bombardieri americani di distruggere tre siti nucleari chiave. Poco prima delle 20,00, il presidente americano è intervenuto su Truth Social per dare la notizia:
Abbiamo completato con successo il nostro attacco ai tre siti nucleari in Iran, tra cui Fordow, Natanz ed Esfahan. Tutti gli aerei sono ora fuori dallo spazio aereo iraniano. Un carico completo di bombe è stato sganciato sul sito principale, Fordow. Tutti gli aerei sono in viaggio di ritorno sani e salvi.
In un successivo discorso televisivo alle 22,00, il presidente ha dichiarato che l’operazione è stata uno “spettacolare successo militare”. Una decisione criticata fortemente dalle istituzioni, dai cittadini e soprattutto dagli esperti di geopolitica: Karim Sadjadpour, ricercatore presso il Carnegie Endowment for International Peace e analista presso l’International Crisis Group a Teheran dal 2003 al 2005, mette in guardia la comunità internazionale. Di fronte a un simile quadro è importante comprendere la situazione, perché Trump ha deciso di dar man forte a Netanyahu e quali sono i possibili rischi su scala regionale e internazionale: di seguito tutto quello che serve sapere a riguardo.
Donald Trump ha deciso di bombardare l’Iran: ecco perché
La decisione di Trump contraddice fortemente la sua politica di disimpegno. Solo il mese scorso il presidente americano era volato in Arabia Saudita, pronunciando un discorso fortemente critico nei confronti degli interventi militari e delle iniziative di nation-building in Medio Oriente: “Alla fine, i cosiddetti nation-builder hanno distrutto molte più nazioni di quante ne abbiano costruite. E gli interventisti intervenivano in società complesse che non capivano nemmeno”.
E allora non resta che domandarci: cosa è cambiato al punto da spingere Trump a sganciare delle bombe sull’Iran, radendo al suolo tre siti nucleari iraniani: Fordow, Natanz ed Esfahan?
Le ragioni ufficiali fornite da Trump, per giustificare l’attacco statunitense all’Iran, riprendono quelle fornite da Israele: l’obiettivo sarebbe quello di rallentare il programma nucleare di Teheran, ritenuto una minaccia imminente. A questo punto però bisognerebbe porsi un’altra domanda: “gli israeliani o gli americani presenteranno mai prove concrete e convincenti sulla minaccia nucleare iraniana?” o rischieremo un altro 2003 con l’attacco a Kabul su notizie non veritiere? Come spiega il ricercatore Sadjadpour: “Benjamin Netanyahu ha affermato che la minaccia era imminente e ha agito di conseguenza , eppure non ha fornito al pubblico prove chiare che l’Iran fosse vicino a ottenere un’arma nucleare”
Dietro la scelta di Trump, quindi, si nasconderebbe ben altro: il bisogno di fortificare la propria posizione e di non dimostrarsi debole davanti la comunità internazionale. Dopo la frustrazione per aver visto fallire gli accordi nucleari con Teheran, il presidente avrebbe ceduto all’incessante pressione di Benjamin Netanyahu, continua Sadjapour:
Molto di ciò che facciamo ora come nazione non è il riflesso di una deliberazione nazionale o di un interesse nazionale. È l’impulso di un solo uomo. Trump è salito al potere credendo che la sua semplice presenza avrebbe risolto i conflitti mondiali in ventiquattro ore: Russia-Ucraina, Israele-Palestina. Quando Trump si è reso conto di non avere successo, ha sentito con grande urgenza di giungere a una soluzione in Iran. La combinazione della tenacia di Netanyahu e della sfida di Khamenei ha trasformato Trump da un autoproclamato pacificatore a un guerrafondaio.
Dal modello Nixon al modello Bush è stato un attimo: Trump ha deciso ieri sera, 21 giugno 2025, di sganciare una bomba da 13.000 chili, attuando de facto un attacco illegittimo, in quanto non ha avuto l’approvazione del Congresso, né è stato eseguito dopo un mandato internazionale. E gli Statu Uniti dovranno presto fare i conti con il peso di questa decisione: guardando indietro dovranno domandarsi se l’attacco ha impedito una bomba iraniana o forse ha assicurata una.
Guerra all’Iran: il Medio Oriente è di nuovo in guerra?
Il Medio Oriente è di nuovo sull’orlo di una crisi. Dopo l’invasione dell’Iraq nel 2003, la guerra in Siria e il caos in Libia, questo nuovo fronte rischia di aggravare una situazione già esplosiva.
Ogni “missione per la democrazia” si è rivelata un boomerang geopolitico, che ha lasciato spazio a gruppi estremisti, guerre civili e ingovernabilità. Trump, pur avendo fatto della retorica anti-interventista uno dei suoi cavalli di battaglia, ha finito per replicare la stessa logica di George W. Bush: usare la forza per risolvere problemi complessi, ignorando il diritto internazionale.
Il Medio Oriente si trova di nuovo in una situazione precaria, e la responsabilità americana è evidente. L’azione di Trump potrebbe aver infranto gli equilibri regionali faticosamente mantenuti negli ultimi anni. E mentre Israele applaude, l’Europa tace e la Russia osserva con ostilità, il mondo si interroga: dove ci sta portando questa nuova guerra?
Come spiega Sadjapour, l’Iran si trova in una situazione unica. È plausibile che i comandanti delle Guardie Rivoluzionarie guardino alla Guida Suprema, Khamenei, premendo per un intervento diretto contro gli Usa. La vera domanda ora è come risponderà l’Iran. “Se l’ayatollah [Ali Khamenei] risponde debolmente, perde la faccia”, ha detto Sadjadpour. “Se risponde troppo duramente, potrebbe perdere la testa”. Khamenei ha 86 anni ed è al potere dal 1989, è uno dei dittatori più longevi al mondo e ora si trova di fronte a una scelta: guidare una guerra contro gli Stati Uniti, una superpotenza mondiale, e contro Israele, la più grande potenza militare della regione.
Ma, come abbiamo imparato troppo spesso nella storia, il successo militare non si traduce sempre in successo politico: ora è l’intero equilibrio mediorientale a vacillare. l’esperto ricorda che più della metà dei regimi autoritari caduti dopo interventi stranieri non sono diventati democratici. Un possibile cambio di regime in Iran potrebbe non avvantaggiare le libertà civili, ma consegnare il potere a fazioni più radicali come il Corpo delle Guardie della Rivoluzione. In questo scenario, l’alleanza tra Washington e Tel Aviv potrebbe ritorcersi contro i civili iraniani e destabilizzare ancora una volta un intero continente.
Stati Uniti attaccano l’Iran: quali sono ora i rischi?
Il Medio Oriente è una polveriera pronta ad esplodere. Le sorti di un potenziale conflitto globale attualmente dipendono dalla reazione iraniana in queste ore: attaccheranno le ambasciate statunitensi, continueranno a bombardare solo Israele, nel tentativo di non far entrare gli Stati Uniti nel conflitto, più di quanto non lo siano già? Oppure chiuderanno lo Stretto di Hormuz? Ognuna di queste risposte potrebbe generare una spirale di violenza incontrollata.
Una cosa è certa: se la teocrazia di Khamenei risponderà con forza, rischia di trascinare regionalmente potenze come Arabia Saudita, Turchia e Egitto; non solo l’intervento di Trump potrebbe far scattare una reazione russa o cinese, a difesa dei loro interessi energetici e geopolitici.
Ma il pericolo più grande è quello di un ritorno alla logica dei blocchi. Se la crisi si aggrava, le grandi potenze potrebbero schierarsi apertamente, con la NATO spinta a intervenire e Mosca pronta a sostenere Teheran. In quel caso, lo spettro di una terza guerra mondiale non sarebbe più un’ipotesi remota ma una possibilità concreta, la cui ombra si sta pericolosamente allungando sull’intero Medio Oriente. E mentre il mondo trattiene il fiato, i bambini palestinesi e iraniani continuano a perdere la vita sotto gli occhi di un Occidente che resta fermo a guardare. Un Occidente che ha sempre voluto presentarsi come il “salvatore” del Medio Oriente ma che irrimediabilmente ha trascinato nel caos e nelle fiamme.
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