Pensione, il datore di lavoro può obbligare il dipendente ad andarci?

Ilena D’Errico

4 Giugno 2023 - 23:08

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Il datore di lavoro può obbligare il dipendente ad andare in pensione? Dipende. Ecco qual è il parere della Corte di Cassazione.

Pensione, il datore di lavoro può obbligare il dipendente ad andarci?

C’è chi vorrebbe andare in pensione ma non può e chi invece viene sollecitato dall’azienda, quando vorrebbe continuare a lavorare. In effetti, alcune aziende incentivano i pensionamenti quando possibili, così da favorire il ricambio generazionale dei dipendenti (e pagare stipendi più bassi). Ma il datore di lavoro può obbligare il dipendente ad andare in pensione?

Sul punto si è pronunciata la Corte di cassazione, esaminando la causa di un conducente di un autobus pubblico, licenziato dal datore di lavoro in quanto in possesso dei requisiti per il pensionamento, ma che avrebbe preferito continuare a lavorare. La Cassazione ha con l’occasione definito i criteri per valutare la legittimità del licenziamento finalizzato alla pensione, costituendo un importante precedente giuridico, essendoci sul punto una lacuna normativa.

Il datore di lavoro può obbligare il dipendente ad andare in pensione?

La Corte di cassazione con la sentenza n. 10.883 del 24 aprile 2021 della Sezione lavoro ha definito il rapporto tra la volontà del dipendente e quella del datore di lavoro in merito alla pensione. In base alle motivazioni dei giudici si vince che il datore di lavoro effettivamente ha la facoltà di obbligare i dipendenti al pensionamento, ma non sempre.

In particolare, il dipendente che maturato i requisiti per accedere alla pensione di vecchiaia può essere licenziato e obbligato così al pensionamento, indipendentemente dalla sua volontà e dalla sua idoneità al lavoro. Al contrario, il datore di lavoro non può costringere ad andare in pensione il lavoratore che ha raggiunto i requisiti per la pensione anticipata, la quale resta una scelta libera del dipendente.

Le motivazioni sono piuttosto evidenti: la pensione di vecchiaia non comporta alcuna rinuncia economica; perciò, non concretizza di fatto alcun pregiudizio per il dipendente. Al contrario, la pensione anticipata comporta spesso un sacrificio economico e pertanto il lavoratore non può esservi costretto. Il trattamento pensionistico anticipato dipende per sua stessa natura dalla volontà del lavoratore e, come ribadito dalla Cassazione con la sentenza in esame, non può mai essere obbligatorio.

Di pari passo, c’è anche la questione contributiva. Il principio per cui il datore di lavoro non può obbligare il dipendente ad andare in pensione se quest’ultima comporta una perdita economica si applica, infatti, anche al versamento dei contributi ai fini pensionistici.

In particolare, il datore di lavoro non può imporre al dipendente di andare in pensione se l’attività lavorativa è necessaria per aumentare i contributi per la pensione, altrimenti il lavoratore sarebbe obbligato a ricevere un trattamento pensionistico inferiore rispetto a quanto possibile. Ciò, ovviamente, è considerato ingiusto e non equo rispetto ai diritti del lavoratore.

Ne consegue, perciò, che la situazione particolare deve essere analizzata caso per caso. Si ricorda, tuttavia, che l’uscita obbligatoria per i dipendenti del settore pubblico è attualmente pari a 71 anni. Il dipendente che supera questa età può infatti essere licenziato in modo legittimo, anche senza alcuna motivazione.

Per quanto riguarda i dipendenti pubblici, invece, il limite di 65 anni può essere innalzato per coloro che non hanno raggiunto il requisito contributivo. La decisione, tuttavia, spetta alla Pubblica Amministrazione, così come un eventuale prepensionamento per i dipendenti che hanno raggiunto i requisiti prima dell’età ordinamentale.

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