Patto tra Cina e Isole Salomone: perché gli Stati Uniti sono preoccupati

Chiara Esposito

25/04/2022

02/12/2022 - 15:02

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Un accordo strategico nel Pacifico fa tremare USA e alleati Aukus e Quad. È davvero possibile porre un freno alle mire espansionistiche della Cina?

Patto tra Cina e Isole Salomone: perché gli Stati Uniti sono preoccupati

Con grande preoccupazione da parte di Stati Uniti, Australia e Francia, la Cina si appresta a stringere rapporti sempre più solidi con le isole Salomone. I timori salgono a seguito della firma di un accordo forse cruciale per la storia di questi territori del Pacifico.

Stando alle dichiarazioni ufficiali, il patto siglato dai due governi vedrebbe Pechino come «garante della stabilità» nell’area insulare. Il documento prevede infatti la possibilità per la marina cinese di visitare i porti delle Isole Salomone per ragioni di logistica, rifornimento e rotazione del personale.

Al governo cinese viene così accordata una possibilità di manovra piuttosto ampia che preoccupa il fronte americano e i suoi alleati occidentali.

Secondo la fazione occidentale la Cina potrebbe sfruttare prima o poi questo importante attracco marittimo, tra l’altro geograficamente vicino ai possedimenti degli avversari, per costruire una base militare.

Isole Salomone tra critiche e giustificazioni

La nefasta prospettiva viene negata da Manasseh Sogavare, primo ministro delle Isole Salomone che, a detta di alcuni, sembra quasi non accorgersi di essere finito nelle rete cinese. Le parti in causa piuttosto descrivono il patto come volto a promuovere “assistenza umanitaria” e “mantenimento dell’ordine sociale”.

Sogavare ha quindi definito “offensive” le critiche internazionali con una forte precisazione rispetto al fatto che il Paese non subirà alcun tipo di pressione dalla Cina. In un’audizione parlamentare ha infatti detto:

“Non abbiamo intenzione di farci coinvolgere in una lotta di potere a carattere geopolitico” e Honiara, la capitale del Paese, non è disposta a “schierarsi”.

Tra le critiche che Sogavare voleva scollarsi di dosso c’erano anche quelle mossegli dal segretario capo di Gabinetto e portavoce del governo giapponese Hirokazu Matsuno secondo cui “questo accordo avrà un probabile impatto sulla sicurezza regionale nel suo complesso” ed è capace di destare “forte preoccupazione”. Analogamente ha espresso “profonda delusione” verso Honiara la ministra degli Esteri australiana Marise Payne, grande alleata degli States.

La smentita da parte di entrambi i firmatari degli accordi della prospettiva di una futura base militare nel Pacifico non viene infatti ritenuta credibile dall’amministrazione Biden.

Evidente del resto la solerzia che gli americani hanno dimostrato e stanno dimostrando nel costituire grandi progetti diplomatici come quelli di Aukus e Quad proprio per frenare l’espansionismo imperialista.

La Cina riempie i vuoti americani

Le mosse degli Stati Uniti, con Washington che aveva appaltato le responsabilità difensive nel Pacifico meridionale a Canberra, sono state però deludenti nei fatti. A poco sono valsi i tentativi australiani di sabotaggio di un progetto di cavi sottomarini da parte aziende cinesi con terminal proprio nelle Salomone; la Cina prosegue la sua avanzata perché è ben conscia dei passi da compiere per attrarre a sè i territori desiderati. La mano che il Dragone tende è potente poiché si tratta degli aiuti economici tanto richiesti dai governi della zona.

Pechino sta riuscendo progressivamente a riempire i vuoti lasciati dagli Usa ma sa anche come farlo pesare. La debole risposta americana a questi accordi sarà infatti una visita di due portavoce di Biden, Kurt Campbell (massimo funzionario della Casa Bianca per l’Asia) e Daniel Kritenbrink (assistente segretario di stato per gli affari dell’Asia orientale e del Pacifico), alle Hawaii, alle Fiji e in Papua Nuova Guinea. Il commento ironico di Wang Yi, Ministro degli affari esteri della Repubblica Popolare Cinese, è stato:

“Perché gli americani si prendono la briga di visitare un paese insulare nel quale la loro ambasciata è rimasta chiusa per 29 anni?”.

I dirigenti americani hanno quindi cercato di ricucire lo strappo in cui Wang si è insinuato promettendo di riaprire presto un’ambasciata e disporre al più presto nuovi interventi di cooperazione.

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