Le 10 cose che non puoi fare assolutamente in un luogo pubblico

Giorgia Dumitrascu

9 Novembre 2025 - 16:45

La libertà finisce dove inizia quella degli altri. Dieci azioni vietate nei luoghi pubblici spiegano come la legge tutela l’ordine, il decoro e la convivenza civile.

Le 10 cose che non puoi fare assolutamente in un luogo pubblico

In strada, in piazza o in un parco, molte abitudini considerate normali possono trasformarsi in violazioni amministrative o veri e propri reati. A fare la differenza non è solo il gesto, ma il contesto, cioè: dove avviene, chi coinvolge e che effetto produce sugli altri.
La legge considera luogo pubblico lo spazio dove la libertà individuale incontra quella degli altri, e dove ogni comportamento deve misurarsi con le regole dell’ordine, della sicurezza e del decoro.

In questo articolo non parleremo di reati “ovvi” come furti o aggressioni, ma di dieci azioni che sembrano apparentemente innocue - dal punto di vista legale - ma che invece possono comportare una multa, una denuncia e persino l’arresto.

Gettare mozziconi o piccoli rifiuti

Un gesto automatico: spegnere la sigaretta e lasciarla cadere per terra, buttare un chewing gum nel tombino, abbandonare un bicchiere di plastica su una panchina. Piccoli comportamenti che però, dal punto di vista legale, costituiscono illeciti. La norma di riferimento è l’art. 232-bis del D. lgs. n. 152/2006 (Codice dell’Ambiente), introdotto dalla l. n. 221/2015, cosiddetta “green economy”. Dispone che:

“Chi abbandona mozziconi di sigarette, gomme da masticare, scontrini o rifiuti di piccole dimensioni su suolo pubblico o nelle acque è soggetto a una sanzione amministrativa da 60 a 300 euro”.

In molti Comuni sono attivi controlli e telecamere ambientali per contrastare il fenomeno, in particolare nelle zone turistiche o nei centri storici. In caso di comportamenti reiterati, può essere applicato anche il DASPO urbano. Le finalità della norma sono ambientali e sanitarie; infatti, un mozzicone contiene sostanze tossiche che, a contatto con l’acqua piovana, rilasciano metalli pesanti e microplastiche.

Fotografare o filmare persone senza consenso

Con uno smartphone in tasca, ognuno di noi è potenzialmente un fotografo. Ma il diritto all’immagine tutela ogni persona dal vedersi ritratta o diffusa senza consenso, anche se lo scatto avviene in uno spazio aperto. L’art. 10 c.c. e gli artt. 96 e 97 della l. n. 633/1941 stabiliscono che:

“L’immagine di una persona non può essere esposta, riprodotta o messa in commercio senza il suo consenso, salvo che ricorrano finalità di giustizia, di polizia, di informazione o di interesse pubblico”.

Pertanto, se inquadrare un passante è inevitabile mentre si fotografa un monumento, non c’è violazione. Ma se la persona è riconoscibile, e lo scatto viene poi reso pubblico, la condotta diventa illecita. Chi agisce in questo modo rischia di dover risarcire i danni morali e patrimoniali alla persona ripresa e, nei casi più gravi, può essere segnalato al Garante Privacy.

Fare troppo rumore in strada

L’art. 659 c.p. punisce chi:

“Disturba le occupazioni o il riposo delle persone con l’arresto fino a tre mesi o un’ammenda”.

Si tratta del cosiddetto disturbo della quiete pubblica, che si applica ogni volta che il rumore supera la normale soglia di tollerabilità. Non serve una discoteca all’aperto per configurare l’illecito, ma può essere sufficiente una cassa bluetooth, un motore acceso troppo a lungo o un brindisi di mezzanotte nel cortile. Non conta solo l’intensità del suono, ma anche il contesto. Le segnalazioni partono spesso da denunce condominiali o interventi della Polizia locale, ma la prova oggettiva arriva dalle rilevazioni acustiche dell’ARPA, che misurano i decibel rispetto ai limiti fissati dal D.P.C.M. 14 novembre 1997.

Offendere qualcuno in pubblico

Le parole pesano, specie se pubbliche. In strada come online, insultare o denigrare una persona configura un illecito. L’art. 595 c.p. punisce la diffamazione, cioè l’offesa all’altrui reputazione comunicata a più persone. È sufficiente che l’espressione lesiva venga pronunciata davanti a un gruppo o pubblicata su un canale accessibile a terzi.

Dal 2016 l’ingiuria, ovvero, l’offesa rivolta direttamente all’interessato è stata depenalizzata, ma resta un illecito civile ex art. 2043 c.c., che obbliga comunque al risarcimento dei danni morali e patrimoniali. La diffamazione, invece, resta un reato perseguibile a querela della persona offesa, con pene che vanno dalla multa alla reclusione fino a un anno. La vittima può presentare querela entro tre mesi, chiedendo sia la condanna penale sia il risarcimento del danno d’immagine.

Bere o ubriacarsi per strada

Una birra al parco o un bicchiere di vino in piazza sembrano gesti innocenti, ma la linea che separa la convivialità dalla violazione della legge è sottile. Attualmente non esiste un divieto generale di consumo di alcolici in luogo pubblico, ma l’ubriachezza manifesta e i comportamenti molesti che ne derivano sono sanzionati. L’art. 688 c.p. punisce chi:

“Si trova in stato di manifesta ubriachezza in un luogo pubblico o aperto al pubblico”.

La sanzione amministrativa è compresa fra 51 a 309 euro. Non è necessario provocare danni, ma è sufficiente essere in condizioni visibilmente alterate, tali da suscitare allarme tra i presenti. Molti regolamenti comunali di polizia urbana, vietano il consumo di alcol su strade, piazze o mezzi pubblici in determinate fasce orarie o in aree sensibili (vicino a scuole, stazioni, ospedali). Ad esempio a Milano, Roma, Firenze e Bologna, bere alcolici in strada dopo le 22 o in prossimità di locali notturni può comportare una multa fino a 500 euro e, nei casi più gravi, il DASPO urbano.

Compiere gesti indecorosi in luogo pubblico

L’art. 726 c.p. punisce chi:

“Compie atti contrari alla pubblica decenza” con l’ammenda da 5.000 a 10.000 euro”.

Tra i comportamenti più sottovalutati c’è quello di urinare in strada o compiere gesti contrari alla decenza, come sputare, cambiarsi d’abito in spazi aperti o assumere atteggiamenti ritenuti offensivi del pudore comune. A differenza degli atti osceni (art. 527 c.p.), che implicano una componente sessuale, qui è sufficiente che un comportamento che urti la sensibilità o la dignità collettiva.

La giurisprudenza è costante: urinare in strada, anche dietro un’auto o in un vicolo, costituisce atto contrario alla pubblica decenza, a prescindere dall’assenza di pubblico immediato. Anche lo sputare per terra, specialmente in luoghi affollati o nei pressi di esercizi pubblici, rientra nella medesima categoria di comportamenti sanzionabili.

Dare da mangiare agli animali in città

Dare da mangiare ai piccioni o agli animali randagi nei luoghi pubblici è vietato in molte città, non per mancanza di sensibilità, ma per motivi igienico-sanitari e di sicurezza urbana. La base normativa è il D.lgs. n. 152/2006 (Codice dell’Ambiente), che affida ai Comuni la competenza in materia di igiene e decoro, e i regolamenti locali di polizia urbana. Quasi tutte le grandi città hanno introdotto divieti espressi di alimentazione della fauna selvatica, in particolare dei piccioni. Le sanzioni variano in genere da 50 a 500 euro, ma nei casi di recidiva o di abbandono massivo di cibo possono salire ulteriormente.

La ragione del divieto è duplice: da un lato evitare il proliferare incontrollato di animali che possono trasmettere malattie (ornitosi, salmonella, zecche); dall’altro, prevenire il degrado urbano dovuto a escrementi e residui alimentari che attirano insetti e roditori.

Sedersi o bivaccare su monumenti

Un altro divieto riguarda il sedersi o sdraiarsi sulle gradinate di chiese, fontane o edifici storici. In molti Comuni, regolamenti e ordinanze locali vietano l’uso improprio di monumenti e siti d’interesse turistico, compreso il mangiare, il bagnarsi nelle vasche o il bivaccare, cioè sostare a lungo con atteggiamenti di degrado o disturbo.

Le sanzioni amministrative vanno in genere da 100 a 500 euro, con la possibilità di DASPO urbano per chi non rispetta gli ordini della Polizia locale. Tali misure servono a tutelare i beni culturali e garantire la fruizione ordinata degli spazi pubblici, scoraggiando chi trasforma luoghi monumentali in aree private, tra tavoli improvvisati, coperte o rifiuti abbandonati.

Anche scrivere, incidere o attaccare adesivi su statue, fontane o facciate storiche costituisce una violazione a tutela del decoro urbano, con obbligo di ripristino e risarcimento del danno nei casi più gravi.

Organizzare raduni o manifestazioni in piazza

L’art. 18 del TULPS stabilisce che:

“Chiunque intenda organizzare una manifestazione in luogo pubblico deve dare preavviso scritto al Questore almeno tre giorni prima dell’evento, indicando luogo, ora, percorso e nomi degli organizzatori”.

La regola vale per: cortei, flash mob, manifestazioni sindacali, commemorazioni o qualsiasi altra riunione che comporti l’aggregazione di persone in spazi aperti. Se il Questore ritiene che la manifestazione possa mettere a rischio la sicurezza o l’incolumità pubblica, può vietarla con un provvedimento motivato. In caso contrario, l’evento può svolgersi liberamente, purché resti pacifico e non ostacoli la circolazione.

“Chi organizza o partecipa a un raduno non preavvisato o vietato commette il reato di manifestazione non autorizzata, punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda”.

In questi casi, la Polizia può sciogliere l’assembramento, identificare i partecipanti e, se ricorrono condotte violente o danneggiamenti, contestare anche altri reati (resistenza a pubblico ufficiale, interruzione di pubblico servizio, danneggiamento).

Coprire il volto o indossare una maschera in pubblico

La norme di riferimento sono l’art. 85 del TULPSe l’ art. 5 della l. n. 152/1975, quest’ultima vieta:

“L’uso di caschi protettivi, maschere o qualsiasi mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento personale, salvo che l’occasione sia giustificata da motivi di salute, professionali o da una manifestazione espressamente autorizzata”.

In concreto, tenere il casco integrale in un negozio, indossare una maschera fuori dal contesto di una festa o partecipare a un corteo con il volto coperto può comportare una sanzione da 1.000 a 2.000 euro o, nei casi più gravi, l’arresto fino a due anni. La violazione si configura quando il travisamento rende effettivamente difficile l’identificazione della persona, creando un rischio per la sicurezza e l’ordine pubblico. Ad esempio, circolare con il volto coperto, vicino a esercizi commerciali o in zone sensibili, creando il sospetto di voler nascondere la propria identità. può generare allarme tra i presenti.

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