In arrivo nuove regole per lavorare nel Regno Unito. Ecco cosa devono sapere gli italiani.
Tra i tanti italiani che si trasferiscono all’estero per lavoro una delle mete più ambite è il Regno Unito, dove nonostante la Brexit la comunità italiana è ampissima.
Alla fine del 2022 soltanto Londra contava 366.000 italiani secondo i dati del Consolato, che nemmeno tiene conto di tutti coloro che non sono iscritti all’Aire, almeno altri 300.000. Il governo laburista di Starmer ha quindi scelto di porre un ulteriore freno all’immigrazione regolare, con nuove regole per gli italiani che vogliono lavorare nel Regno Unito e requisiti di ingresso molto stringenti.
Il libro bianco sull’immigrazione a breve presentato dal governo britannico al Parlamento interviene duramente per ridurre i flussi migratori, un obiettivo che ha guidato anche l’uscita del Regno Unito dall’Ue, seppur con scarso successo.
Si teme infatti per le risorse della popolazione britannica, per l’identità nazionale e per l’economia del Paese. Problemi che i limiti sui lavoratori stranieri potrebbero in realtà amplificare, visto il peso degli expat in settori chiave (come la sanità) e sull’abbassamento dell’età media.
Se i nuovi limiti diventeranno ufficiali, però, a patirne le conseguenze saranno anche i cittadini italiani per i quali sarà sempre più difficile trovare lavoro nel Regno Unito.
Nuove regole per gli italiani per lavorare nel Regno Unito
Il governo britannico vuole garantire il lavoro per i cittadini e riqualificare tutti i residenti inoccupati. Si tagliano quindi le opportunità di lavoro per gli immigrati, che potranno restare nel Paese soltanto dando prova di conoscere perfettamente la lingua inglese e impegnandosi per l’integrazione.
Nel dettaglio, ai migranti qualificati sarà richiesto il possesso di una laurea per ottenere un impiego, mentre gli altri potranno essere assunti soltanto in via temporanea e in settori strategici per l’economia nazionale. Questi ultimi saranno individuati dalla nuova agenzia Labour market evidence group (Lmeg).
Gli stranieri nel Regno Unito per motivi di studio dovranno inoltre lasciare il Paese una volta terminato il percorso, a meno di trovare un lavoro qualificato. I datori di lavoro sono in ogni caso incoraggiati a privilegiare la manodopera locale, con tanto di sanzioni per gli inadempimenti.
L’assunzione temporanea e limitata di lavoratori stranieri non qualificati sarà infatti possibile soltanto dimostrando gli investimenti nei percorsi di formazione per i cittadini inglesi. Per assumere lavoratori stranieri qualificati, inoltre, sarà doveroso dimostrare di non poter coprire il fabbisogno attingendo alla popolazione residente, venendo altrimenti multati severamente.
In generale, saranno introdotte multe per tutte le aziende che assumeranno lavoratori stranieri senza ricorrere ai residenti britannici, come se gli attuali obblighi per il rilascio del visto lavorativo non fossero già limitati e dispendiosi per i datori di lavoro. Per poter lavorare nel Regno Unito ora non sarà più sufficiente il contratto con la cosiddetta sponsorship dell’azienda, gli italiani e gli stranieri in generale dovranno quanto meno parlare un inglese fluente ed essere laureati per avere qualche speranza. La fine di un’era per migliaia di cittadini che colgono l’occasione proprio per migliorare le capacità linguistiche e necessitano di un lavoro temporaneo nel frattempo.
Le conseguenze per il lavoro nel Regno Unito
Lavorare nel Regno Unito, quindi, sarà sempre più difficile per gli italiani, come pure per tutti gli altri stranieri, ma non è scontato che i britannici possano trarne beneficio.
Basti pensare che soltanto gli studenti stranieri contribuiscono all’economia britannica di 35 miliardi di sterline l’anno. I lavoratori stranieri rappresentano una parte significativa del Pil britannico, ma soprattutto la fonte di sostentamento principale per settori chiave come quello sanitario e assistenziale. Tra gli infermieri, per esempio, il 18% di lavoratori è straniero. Quello che il premier Keir Starmer definisce come “esperimento fallito del libero mercato” mancando forse di considerare le difficoltà di compensare questi numeri facendo affidamento sulla popolazione locale.
Il solo dato demografico, con il 24% dei residenti che ha più di 60 anni, non è incoraggiante da questo punto di vista. Pesano anche, secondo il governo laburista, le misure assistenziali che potrebbero limitare la ricerca di lavoro. Di fatto, ci sono 9 milioni di britannici che non lavorano né cercano un impiego ma sono attivi economicamente.
Il contrasto all’immigrazione resta però l’obiettivo principale di Starmer, che punta anche a rivedere le regole per la cittadinanza e l’espulsione. Nel dettaglio, il requisito di soggiorno nel Paese potrebbe raddoppiare passando da 5 a 10 anni, mentre si ipotizza l’espulsione degli stranieri condannati per un reato.
Resta da capire cosa comporteranno queste nuove regole, una volta approvate, per le famiglie italiane che già vivono e lavorano nel Regno Unito anche senza i requisiti linguistici e formativi.
© RIPRODUZIONE RISERVATA