La lettera di licenziamento va firmata da dipendente?

Claudio Garau

17 Ottobre 2023 - 13:40

condividi

La lettera di licenziamento va comunicata al lavoratore secondo ben precise regole. Scopriamo se, affinché il recesso datoriale produca i suoi effetti, debba essere sottoscritta da chi la riceve.

La lettera di licenziamento va firmata da dipendente?

Il licenziamento rappresenta l’epilogo di un rapporto di lavoro, certamente non quello che le parti auspicavano al momento della firma del contratto. Tecnicamente si parla di recesso unilaterale, esercitato dall’azienda o dal datore di lavoro, pur ricordando che il Codice Civile indica che ambo i contraenti possono interrompere il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, dando l’opportuno preavviso.

In queste pagine abbiamo affrontato più volte il delicato tema del licenziamento, le sue varie tipologie e gli strumenti di tutela che ha il lavoratore: ebbene, qui ci limitiamo a ricordare che detto recesso del datore deve essere intimato in presenza di un’adeguata motivazione, vale a dire per giustificato motivo e/o per giusta causa - altrimenti è da considerarsi nullo. Ma non solo. Il provvedimento deve essere comunicato al dipendente in forma scritta e deve citare i motivi del licenziamento.

Ecco perché si parla di lettera di licenziamento e di invio della comunicazione scritta al lavoratore licenziato. Soprattutto, una questione che potrebbe porsi tra non pochi datori di lavoro, magari alle prese con il primo licenziamento in azienda, è la seguente: per produrre effetto e dunque spianare la strada al licenziamento vero e proprio, la lettera in oggetto deve essere firmata dal lavoratore stesso oppure no? Ovvero, è sufficiente che la lettera di licenziamento sia recapitata al dipendente, oppure deve da lui essere ’accettata’ tramite firma? Scopriamo come stanno le cose, inquadrando anzitutto il contesto di riferimento.

Come comunicare il licenziamento?

La legge non indica specifiche modalità di comunicazione della lettera di licenziamento del datore di lavoro. Pertanto, oggi è possibile rendere noto il recesso con le seguenti vie:

  • lettera di licenziamento in formato cartaceo;
  • email anche non certificata (con prova di ricevimento nella casella di posta elettronica);
  • messaggio WhatsApp (con prova del ricevimento della comunicazione sul proprio cellulare).

C’è insomma libertà di comunicazione, come affermato dalla Corte di Cassazione che - nel consolidato orientamento giurisprudenziale - ritiene necessario e sufficiente semplicemente che l’atto - scritto e motivato - di licenziamento sia portato a conoscenza del lavoratore, al di là dalle modalità di trasmissione dello stesso.

Tuttavia è sempre vietato il licenziamento in forma orale: intimare a voce al lavoratore di prendere le proprie cose e non presentarsi più in azienda, non basta infatti per rendere efficace il recesso datoriale. Lo indica chiaramente la legge n. 604 del 1966, contenente norme sui licenziamenti individuali. L’esigenza è infatti quella di proteggere, ove possibile, il lavoratore che deve invece contare su una comunicazione scritta e chiara del recesso, contenente i motivi che hanno portato alla decisione.

Utilizzo della raccomandata a/r: chiarimenti

Non sempre il licenziamento viene ’digerito’ dal lavoratore senza contestazioni e, proprio per questo, le aziende hanno sempre preferito comunicarlo con una raccomandata a/r. Con la precisazione secondo cui la lettera si presume conosciuta - e perciò dà luogo a tutti i suoi effetti - già nel momento in cui arriva all’indirizzo del dipendente, al di là del fatto che questi l’abbia ritirata o meno - e dunque visionata.

Poniamo il caso che il destinatario della lettera di licenziamento non voglia farsi consegnare la lettera, e neanche vada a ritirarla nei 30 giorni successivi alle Poste per la cd. giacenza: ebbene, in circostanze come queste la situazione resta invariata ed infatti il licenziamento - in linea generale - avrà comunque effetto per ambo le parti.

La giurisprudenza sul tema è particolarmente utile perché ha anche indicato che, se il lavoratore varia il suo indirizzo, dovrà renderlo noto al suo datore di lavoro - con apposita dichiarazione di variazione del domicilio. Se si dimentica o non lo fa, la lettera di licenziamento sarà comunque valida se spedita all’indirizzo precedente.

Comunque se la forma prescelta per comunicare il licenziamento è la lettera raccomandata, i giudici spiegano altresì che il datore, se del caso, dovrà dare prova dell’arrivo a destinazione della stessa, tramite avviso di ricevimento con attestazione della compiuta giacenza alle Poste.

Quanto abbiamo appena ricordato in riferimento alle modalità di comunicazione del licenziamento, fa già intuire quale sia la risposta alla domanda sull’obbligo di firma - o meno - da parte del lavoratore alla lettera di licenziamento.

Invio della raccomandata: c’è bisogno della firma del lavoratore?

Abbiamo visto finora entro che regole e limiti un datore di lavoro deve comunicare il licenziamento al lavoratore, ma davvero la lettera di licenziamento va (anche) firmata dal dipendente che la riceve e la legge? Ebbene, se il licenziamento viene reso noto attraverso raccomandata, va da sé che non vi sia alcun obbligo di firma della comunicazione da parte del dipendente.

Questo perché il provvedimento scritto produce infatti i suoi effetti già esclusivamente con la consegna al destinatario. A questa conclusione si arriva agevolmente: basti pensare che il licenziamento, per sua natura, non è un atto che deve essere approvato dal destinatario ma è il frutto di una scelta unilaterale del datore. Conseguentemente la lettera produce i suoi effetti già nel momento in cui il lavoratore ne viene a conoscenza, senza bisogno di apporre la firma.

Consegna della lettera a mani: c’è bisogno della firma del lavoratore?

Nella diversa ipotesi della consegna della lettera a mani al lavoratore, l’azienda deve comunque aver prova dell’avvenuta consegna e ricevimento della stessa: ebbene, in questi casi la firma per accettazione va messa oppure no? Ovvero il dipendente può rifiutarsi di sottoscrivere il documento o negarne l’accettazione? Ebbene, al di là di ciò che farà il lavoratore, neanche in queste circostanze la lettera di licenziamento deve essere firmata, affinché produca i suoi effetti.

Infatti è sufficiente la piena conoscenza tramite la consegna a mani. Il punto è però capire come eventualmente dimostrare la consegna dell’atto di recesso in un momento successivo, in caso di eventuali contestazioni del dipendente. Qui infatti non c’è la prova della consegna tramite avviso di ricevimento della raccomandata.

Per provare la consegna, l’azienda potrà però avvalersi di elementi differenti, come la testimonianza di qualcuno presente al momento del ricevimento della lettera a mani. Non a caso, la comunicazione scritta ben può essere consegnata al destinatario attraverso una persona incaricata dal datore di lavoro, che potrà di seguito essere utilizzata come testimone nell’eventuale giudizio di impugnazione - al fine di provare l’avvenuta consegna.

Analogamente, il comportamento del dipendente licenziato, che ha contestato la lettera di licenziamento, va letto come prova di conoscenza.

Concludendo, il rifiuto del lavoratore di ricevere la lettera di licenziamento o di firmarla, non impedisce gli effetti della comunicazione stessa. La lettera è stata comunque resa nota, senza bisogno che il licenziato l’accetti. In generale basta la semplice consegna per posta, a mani o anche con un messaggio su smartphone o via mail.

Iscriviti a Money.it