L’industria petrolifera italiana perde altri pezzi

Raphael Raduzzi

30 Maggio 2025 - 22:13

Le trattative per l’acquisto di IP, colosso dell’industria petrolifera, avanzano. Un’altra azienda del settore pronta a cambiare bandiera.

L’industria petrolifera italiana perde altri pezzi

Grossomodo lo scorso anno, in questi stessi mesi, il governo italiano tramite il Ministero dell’Economia e delle Finanze, liquidava una quota pari al 2,8% di Eni. L’operazione permetteva di incassare circa 1,4 miliardi, utili come al solito per far quadrare i conti di un’economia zoppicante.

Nonostante i dividenti record degli ultimi anni del colosso a sei zampe, il governo fece una scelta di breve periodo. Allargando l’orizzonte, tuttavia, la fuoriuscita dal settore petrolifero e delle fonti fossili non sta riguardando solo gli investitori statali ma pure i privati.

E’ infatti notizia di questi giorni che Italiana Petroli S.p.A., conosciuta agli automobilisti semplicemente come ‘IP’, sta per essere rilevata da imprese estere. La società petrolifera che si occupa sia di raffinamento che di gestione dei distributori di benzina fa capo alla famiglia Brachetti Peretti che sta ora valutando tre principali offerte.
La prima da parte di Socar – azienda petrolifera statale, con sede a Baku in Azerbaijan, con operatività principale nel Caucaso ma non solo, l’azienda è attiva anche in Ucraina. - della multinazionale Gunvor con sede a Ginevra e del colosso di Abu Dhabi Bin Butti.

La valutazione complessiva sembrerebbe oscillare tra i 2,3 ed i 2,5 miliardi di euro, e nella vendita rientrerebbero le due maxi-raffinerie del gruppo: quella di Trecate e di Falconara, che assieme hanno una capacità complessiva di 10 milioni di tonnellate di petrolio.
Ma questo non è l’unico caso di fuoriuscita degli investitori italiani dal business delle fonti fossili: circa lo scorso anno la famiglia Moratti aveva venduto il 35% delle quote di Saras al colosso olandese Vitol.
Un settore, quello della vendita dei prodotti derivanti dalla raffinazione del petrolio che, stando ai dati ISTAT, nell’ultimo decennio ha perso circa un 5%. Nonostante questo, viene da chiedersi se, con i limiti dimostrati dalle rinnovabili – vedasi il blackout spagnolo di qualche mese fa – ed una generale inversione di tendenza guidata dai nuovi Stati Uniti di Donal Trump, uscire totalmente come paese dalle fonti fossili sia una scelta lungimirante.

Le fonti fossili, volenti o nolenti, rappresentano infatti ancora la prima fonte di energia non solo del nostro paese ma anche del globo intero. Dismettere know how ed investimenti pubblici o privati che sia, come sistema paese, ci sarà davvero di giovamento?

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