Interdizione post partum lavoratrice madre: cos’è e come funziona

Claudio Garau

12/04/2023

12/04/2023 - 13:42

condividi

Numerose sono le tutele previste a favore della lavoratrice in gravidanza e della lavoratrice madre, così come indicato dalla legge. Tra esse vi è l’interdizione post partum. Ecco come richiederla.

Interdizione post partum lavoratrice madre: cos’è e come funziona

Come è noto, la legge riserva un ampio ventaglio di tutele a favore della lavoratrice in gravidanza o che abbia partorito da poco. Pensiamo ad es. alla possibilità di ottenere permessi retribuiti per esami pre-natali, oppure al diritto di svolgere accertamenti clinici o visite mediche legate allo stato di gravidanza: ciò sarà possibile dopo aver ottenuto il certificato medico del Servizio Sanitario Nazionale, che attesta la data presunta del parto e dopo averlo consegnato al datore di lavoro. Altre tutele per la lavoratrice madre sono invece i permessi e i riposi giornalieri per allattamento e il congedo parentale.

Ebbene, nel quadro delle regole di tutela della lavoratrice madre e della prole, vi è anche la cosiddetta interdizione post partum, che non tutti conoscono nel dettaglio e su cui vale dunque la pena soffermarsi di seguito. Di che si tratta? Come funziona? E come accedere ad essa? Lo scopriremo insieme nel corso di questo articolo. I dettagli.

Cos’è l’interdizione post partum lavoratrice madre

Chiarire in breve che cos’è l’interdizione post partum non è difficile. Per farlo è sufficiente richiamare quanto previsto dal d. lgs n. 151 del 2001, ovvero il Testo unico delle disposizioni legislative in tema di tutela e sostegno della maternità e della paternità.

Sostanzialmente il datore di lavoro e/o la lavoratrice madre possono domandare che venga emesso un provvedimento di interdizione post partum dal lavoro a favore di chi è addetta a lavori vietati o comunque pregiudizievoli alla propria salute o a quella del bambino.

In altre parole, l’interdizione post partum pertanto consiste in quell’insieme di provvedimenti che autorizzano l’astensione dal lavoro delle lavoratrici madri nel lasso di tempo successivo al parto, per ragioni di ordine sanitario.

Lo vedremo più nel dettaglio più avanti ma anticipiamo qui che le parti che fanno domanda di l’interdizione dal lavoro - datore o lavoratrice - possono effettuarla fino a 7 mesi dopo il parto (la richiesta per l’astensione fino a 7 mesi dopo il parto dovrà essere effettuata dopo l’effettivo parto).

La richiesta da parte del datore

Come dettagliatamente spiegato nel sito web dell’Ispettorato, la domanda finalizzata all’emanazione del provvedimento di interdizione post partum può essere avanzata anzitutto dal datore di lavoro, che dichiara di aver compiuto la valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute delle lavoratrici madri - come indicato dal Testo unico per la tutela della maternità e paternità - (d.Lgs. 151/2001). In particolare il riferimento va ai rischi legati al contatto con agenti fisici, chimici o biologici.

Lo stesso datore deve altresì indicare che gli esiti della valutazione dei rischi evidenziano che la lavoratrice è adibita ad attività di lavoro vietate o ritenute pregiudizievoli alla sua salute e a quella del bambino, e deve altresì aver concluso che, per ragioni organizzative o produttive, non si può disporre la modifica delle condizioni o dell’orario di lavoro, né assegnare differenti compiti alla donna.

Il datore di lavoro potrà presentare domanda per conseguire l’interdizione posticipata utilizzando il modulo di cui al sito www.ispettorato.gov.it/modulistica - istanza del datore, compilandolo e inviandolo all’Ispettorato territoriale del lavoro.

In allegato egli dovrà inserire una serie di documenti, ovvero la copia del certificato di gravidanza e del documento di valutazione del rischio nella parte relativa alle lavoratrici madri, come anche la copia del proprio documento di identità e del certificato di nascita o autocertificazione.

La richiesta da parte della lavoratrice

La domanda di interdizione post partum può essere fatta anche dalla lavoratrice, che è obbligata ad allegare la dichiarazione del datore di lavoro con l’indicazione della mansione o del lavoro vietati ai quali la stessa è adibita. La donna dovrà anche indicare la dichiarazione circa l’impossibilità di adibirla ad altre mansioni.

In caso di domanda per l’interdizione post partum, la donna è tenuta ad allegare, insieme alla dichiarazione del datore di lavoro appena menzionata, anche l’autocertificazione ex DPR 445/2000 della nascita del figlio/a, come pure il certificato medico di gravidanza.

Come accennato, la donna lavoratrice potrà fare autonomamente domanda nel caso non sia il datore ad attivarsi: sarà sufficiente scaricare dal sito web www.ispettorato.gov.it la richiesta di interdizione post partum dal lavoro - istanza lavoratrice, inviandola o consegnandola di persona presso l’Ispettorato territoriale del lavoro. In allegato alla domanda vi dovranno essere la copia del documento di identità della donna e l’autocertificazione della nascita del figlio.

Quando viene emesso il provvedimento di interdizione?

L’Ispettorato rimarca all’interno del suo sito web che l’autorizzazione è emessa, su richiesta del datore di lavoro e/o della lavoratrice, redigendo l’apposita istanza da inoltrare all’Ispettorato territorialmente competente, individuato sulla scorta della provincia corrispondente al luogo di lavoro della donna che intende avvalersi dell’interdizione post partum.

Ebbene, l’Ispettorato valuterà i rischi indicati nel documento di valutazione del rischio e quelli previsti dalla normativa di riferimento - e ci riferiamo al citato d. lgs n. 151 del 2001 e al d. lgs. n. 81 del 2008, sulla tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Di seguito l’INL potrà disporre un provvedimento di allontanamento dal lavoro, ma anche di rigetto della richiesta, come pure di cambio o limite alle mansioni svolte dalla lavoratrice madre.

Il rilievo delle mansioni effettivamente svolte dalla lavoratrice madre: precisazioni in una nota INL

Elemento clou che permette alla madre lavoratrice di astenersi dal lavoro dopo il parto, conseguendo la relativa indennità, è l’assegnazione effettiva ad attività vietate e pericolose. E questo peraltro vale al di là del fatto che il datore di lavoro, all’interno del DVR (Documento di Valutazione dei Rischi), abbia effettuato la valutazione della mansione e dei pericoli connessi.

Ciò vuol dire che anche laddove il rischio all’attività di lavoro non sia stato espressamente valutato nel DVR, l’assegnazione a mansioni pericolose per la salute rappresenterebbe comunque condizione sufficiente per il riconoscimento della tutela della lavoratrice madre. Ecco perché questo basterebbe all’emanazione del provvedimento di interdizione post partum, ferma restando una valutazione circa l’impossibilità di svolgere differenti mansioni senza rischi.

Lo ha chiarito la nota n. 553 del 2021 dell’Ispettorato, che ha così uniformato l’attività degli ispettori nell’emanazione dei provvedimenti di interdizione al lavoro delle lavoratrici madri in periodo posteriore al parto.

Differenza con l’interdizione anticipata dal lavoro

Abbiamo visto finora che l’interdizione post partum altro non è che una misura di protezione della salute della lavoratrice madre e della prole. Essa va tenuta distinta dalla maternità anticipata o interdizione anticipata dal lavoro, ovvero un periodo di astensione dal lavoro che comincia prima del periodo di congedo di maternità obbligatorio di cui alla legge.

L’interdizione anticipata per maternità può essere decisa dall’ASL (gravidanza a rischio) o da parte degli uffici territoriali dell’Ispettorato Nazionale Lavoro (lavoro a rischio), in caso emergano specifiche condizioni in tema di ambiente di lavoro, caratteristiche dell’attività svolta o stato di salute della gestante. Per le tutte le ulteriori informazioni a riguardo, rimandiamo alla nostra guida dettagliata, disponibile in questa pagina.

Il rilievo del Testo unico per la tutela della maternità e paternità

Il d. lgs n. 151/2021 protegge la salute delle lavoratrici madri e della loro prole anche tramite misure di protezione in rapporto alle condizioni di lavoro e alle mansioni eseguite, prevedendo l’astensione dal lavoro. Nello specifico:

  • l’art. 7, comma 1, indica il divieto di assegnare la lavoratrice alle mansioni del trasporto e del sollevamento di pesi, come anche ad attività di lavoro pericolose, faticose, e insalubri (l’elenco si trova negli allegati A e B del Testo unico);
  • l’art 6 abilita gli organi di vigilanza ad autorizzare l’interdizione, vale a dire l’astensione dal lavoro in caso di particolari condizioni lavorative;
  • l’art. 17, comma 2, consente agli ispettorati del lavoro l’autorizzazione dell’interdizione dal lavoro, tra gli altri, laddove ad es. le condizioni di lavoro o ambientali siano considerate dannose per la salute della donna e del bambino, oppure laddove la lavoratrice non possa essere adibita a differenti mansioni.

Ecco perché possiamo concludere che gli articoli menzionati di cui al d. lgs. n. 151/2001 sono espressamente mirati a tutelare la salute della lavoratrice madre e della prole, e su di essi si fonda il potere dell’INL di emanare il provvedimento di interdizione post partum, alle condizioni viste sopra.

Iscriviti a Money.it