Casco, velo, maschere o passamontagna: quando coprire il volto è vietato e quali sanzioni prevede la legge.
Nel periodo di Halloween e di Carnevale, maschere e travestimenti riempiono le strade, ma fuori dalle feste la questione cambia: fino a che punto è lecito circolare a volto coperto in un luogo pubblico? La legge interviene tutelando sia la libertà individuale sia la sicurezza collettiva, per prevenire situazioni che possano compromettere l’ordine pubblico e rendere difficile l’identificazione dei cittadini.
In tal senso, la Legge n. 152 del 22 maggio 1975, nota come Legge Reale, nasce nel pieno degli “anni di piombo”, un periodo segnato da terrorismo politico, attentati e scontri di piazza. L’obiettivo della norma era quello di consentire alle forze dell’ordine di identificare più facilmente le persone nei luoghi pubblici, in modo da prevenire e reprimere le azioni violente commesse da soggetti travisati o mascherati.
Oggi tale normativa resta ancora attuale ma in un’epoca di videosorveglianza e e sistemi di riconoscimento facciale, il principio di sicurezza pubblica confrontarsi con la tutela della privacy e con il diritto di ciascuno a controllare la propria immagine.
Volto coperto: i limiti fissati dalla legge
Il divieto di circolare a volto coperto si articola in un duplice regime sanzionatorio: da un lato, l’art. 85 del TULPS punisce con sanzione amministrativa chi compare mascherato in luogo pubblico senza giustificato motivo; dall’altro, l’art. 5 della l. n. 152/1975 configura il reato di travisamento, vietando:
«L’uso di caschi protettivi o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, salvo che ricorra un giustificato motivo».
In concreto, la norma amministrativa punisce la semplice mascheratura non giustificata che, pur rendendo irriconoscibile la persona, non presenta un particolare livello di pericolosità o non si inserisce in contesti sensibili dal punto di vista dell’ordine pubblico. Si pensi, ad esempio, al classico caso del Carnevale fuori dai periodi autorizzati o all’uso di maschere decorative in occasioni non giustificate.
Invece, il reato di travisamento si configura se il mezzo impiegato è oggettivamente idoneo a rendere difficoltoso il riconoscimento, e ciò avviene in circostanze che alimentano un concreto allarme sociale. Rientrano in questo caso: il casco integrale indossato all’interno di una banca o di un ufficio pubblico, la sciarpa o il passamontagna utilizzati durante una manifestazione, o qualsiasi altro dispositivo che impedisca l’identificazione visiva in contesti potenzialmente critici.
Giustificato motivo: dove finisce il divieto e inizia la libertà
Il giustificato motivo è l’elemento discriminante tra condotta lecita e illecita, infatti, se presente, la copertura del volto non costituisce né illecito amministrativo né reato di travisamento. La legge, volutamente, non fornisce un elenco tassativo di ipotesi ammesse, preferendo una clausola generale che consente alla norma di adattarsi all’evoluzione del contesto sociale e alle specificità del caso concreto.
Tuttavia, ci sono circostanze in cui la legittimità dell’occultamento risulta pacifica, ad esempio: durante la pandemia da Covid, la mascherina è stata non solo lecita ma obbligatoria e ancora oggi, chi deve indossarla per motivi sanitari (immunodepressione, patologie respiratorie, prescrizioni mediche) agisce nel pieno rispetto della legge.
Allo stesso modo, in molti lavori, coprire il volto è una condizione di sicurezza essenziale: pensiamo al saldatore che indossa la maschera protettiva, all’operaio edile che usa il casco con visiera, o al tecnico di laboratorio che deve schermarsi da sostanze chimiche. In questi casi, la copertura del volto è una misura obbligatoria prevista dal Testo Unico sulla Sicurezza sul Lavoro (D.Lgs. 81/2008) e quindi perfettamente conforme alla legge.
Un’altra categoria riguarda le manifestazioni pubbliche e gli eventi collettivi. Durante carnevali, spettacoli, cortei storici o rappresentazioni teatrali, l’uso di maschere e travestimenti resta lecito se l’evento è stato preventivamente comunicato alle autorità competenti. In tali ipotesi, l’autorizzazione costituisce essa stessa il giustificato motivo, legittimando la partecipazione a volto coperto.
Niqab e burqa in Italia: libertà religiosa o divieto di sicurezza?
La giurisprudenza ha affrontato più volte il tema, cercando di bilanciare la libertà religiosa tutelata dall’art. 19 della Costituzione con le esigenze di sicurezza pubblica. La pronuncia più significativa resta quella del Consiglio di Stato n. 3076/2008, che ha annullato un’ordinanza del sindaco di Novara che vietava il burqa nei luoghi pubblici. Secondo i giudici:
“Il velo integrale non può essere considerato una maschera ai sensi dell’art. 85 TULPS, perché rappresenta un simbolo di fede e di identità culturale, non un travestimento”.
Tuttavia, il diritto di indossarlo non è illimitato: la Corte precisa che l’esigenza di identificare una persona resta prevalente nei casi in cui la sicurezza pubblica lo richieda. Ad esempio, la Corte europea dei diritti dell’uomo nei casi S.A.S. c. Francia e Dakir c. Belgio ha riconosciuto che la scuola è un contesto dove la neutralità religiosa dello Stato e la sicurezza pubblica possono legittimamente prevalere sulla libertà individuale. In altre parole, lo Stato può imporre agli studenti di mostrarsi a volto scoperto, se ciò serve a garantire il corretto svolgimento delle lezioni e l’ordine interno.
Rifiuto di scoprirsi il volto: come agiscono le forze dell’ordine
Nel momento del controllo, spetta all’agente verificare se sussiste un giustificato motivo. Si tratta di una valutazione discrezionale ma non arbitraria: l’operatore di polizia deve considerare il contesto, l’atteggiamento del soggetto e la plausibilità della spiegazione fornita.
“Collaborare all’identificazione costituisce un obbligo giuridico”.
In caso di rifiuto, l’autorità può procedere:
- all’accompagnamento presso gli uffici per l’identificazione (art. 349 c.p.p.);
- al sequestro temporaneo degli oggetti utilizzati per il travisamento;
- redazione di informativa all’autorità giudiziaria, per la valutazione della sussistenza del reato.
Inoltre, il rifiuto assoluto può integrare l’inosservanza dei provvedimenti dell’autorità ex art. 650 c.p. e qualora sia accompagnato da condotte ostili o violente, può configurarsi anche il reato di resistenza a pubblico ufficiale previsto dall’art. 337 c.p..
Sanzioni per volto coperto: cosa si rischia?
L’art. 85 del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza (TULPS) prevede una sanzione amministrativa pecuniaria applicabile in forma ridotta entro 60 giorni dalla notifica. Contro il verbale è ammesso ricorso al Prefetto entro 30 giorni o al Giudice di Pace entro 60 giorni. Invece, per il reato di travisamento è previsto: l’arresto da uno a due anni e un’ammenda da 1.000 a 2.000 euro.
Oltre al travisamento previsto dalla Legge Reale, chi rifiuta di collaborare durante un controllo può incorrere in ulteriori reati, a seconda del comportamento tenuto, che sono:
- il rifiuto d’indicazioni sulla propria identità personale (art. 651 c.p.) che prevede l’arresto fino a un mese o ammenda fino a 206 euro;
- l’inosservanza dei provvedimenti dell’autorità (art. 650 c.p.) pena: arresto fino a tre mesi o ammenda fino a 206 euro;
- resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.): che comporta la reclusione da sei mesi a cinque anni.
Volto coperto e riconoscimento facciale: il nuovo terreno di scontro tra sicurezza e privacy
L’utilizzo pervasivo di telecamere intelligenti e sistemi di riconoscimento facciale in luoghi pubblici e privati ha trasformato l’identificazione da atto puntuale a processo automatizzato e continuativo. L’art. 5 l. n. 152/1975 concepito per garantire la riconoscibilità nei controlli di polizia, si trova a operare in un contesto normativo profondamente mutato, dove il diritto alla protezione dei dati personali (art. 8 Carta UE dei diritti fondamentali) limita l’uso di sistemi biometrici in tempo reale.
La contraddizione normativa è evidente: la stessa disposizione che impone di mostrarsi per essere identificati dall’autorità pubblica oggi confligge con il diritto di non essere profilati costantemente da sistemi automatizzati privati o pubblici. 
La giurisprudenza non ha ancora affrontato organicamente questo conflitto normativo. Resta aperto il quesito se l’occultamento del volto davanti a sistemi di riconoscimento automatico possa costituire esercizio legittimo del diritto alla protezione dei dati personali o integri comunque la fattispecie di travisamento.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
 
                 
                 
                 
                 
                 
                                                     
             
                
                
            