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Generali e i francesi, nuovo dossier che scotta sulla scrivania di Meloni

lunedì 20 gennaio 2025, di Laura Naka Antonelli

E ora tra i dossier che scottano sulla scrivania della presidente del Consiglio Giorgia Meloni c’è anche quello della possibile e imminente alleanza tra Generali e la francese Natixis-.

Ad angosciare il governo Meloni non è dunque solo l’OPS- lanciata da UniCredit- su Banco BPM-, che rischia di intralciare i piani del MEF sul futuro di MPS-Banca Monte dei Paschi di Siena- (le cui azioni sono finite tra l’altro anche nelle fauci degli speculatori al ribasso-). L’esecutivo a guida Meloni sta monitorando attentamente anche questo altro caso di Borsa, che vede protagonista la possibile partnership che potrebbe essere conclusa tra il colosso assicurativo italiano Generali- e il gestore patrimoniale made in France.

Partnership di cui si è iniziato a parlare, tra l’altro, proprio il giorno in cui Piazza Affari si è risvegliata con il grande annuncio a sorpresa arrivato dal ceo di UniCredit Andrea Orcel, ovvero lo scorso 25 novembre. Il dossier Generali-Natixis è tornato alla ribalta nelle ultime ore, dopo che il comitato per gli investimenti del Leone di Trieste ha dato un parere favorevole all’ipotesi di una joint venture con i colleghi d’Oltralpe, che darebbe vita a un campione europeo del settore del risparmio gestito, con masse da 2.000 miliardi di euro, ergo 2 trilioni. Oggi giornata campale per la società triestina, con il CDA che si riunirà per discutere sull’operazione. Il titolo del Leone è poco mosso, viaggiando attorno a 29,5 euro.

Caltagirone-Delfin, i Patrioti di Italia di Generali, pronti a blindare anche MPS

A dare il loro diniego all’asse con Natixis sono stati i soliti due attori finanziari che stanno cercando di ostacolare a tutti i costi quei deal che vedrebbero rafforzare la presenza degli ’odiati’ francesi nel mondo dell’alta finanza italiana, e che già sono presenti da un po’ a Piazza Affari.

I due player finanziari sono Francesco Gaetano Caltagirone e Delfin, quest’ultima holding della famiglia Del Vecchio: entrambi ultimamente si sono mossi anche quasi in tandem, con un blitz a Piazza Affari- volto a blindare l’italianità della solita banca al centro delle indiscrezioni varie. Italianità che, secondo la coppia Delfin-Caltagirone, verrebbe messa a rischio anche nel caso in cui le masse di Generali Investmens Holding (GIH), il braccio del colosso triestino Generali, che ammontano a ben 650 miliardi di euro, andassero a unirsi ai 1.200 miliardi di masse gestite dai francesi di Natixis Investment Managers.

A spaventare i due azionisti di Generali, anche il fatto che nella joint venture la cui governance sarebbe spartita in modo equo, come riportato da alcune indiscrezioni stampa.

Secondo i rumor, infatti, una quota del 50% andrebbe a finire sotto il controllo della banca francese a cui fa capo Natixis, ovvero a BPCE e un’altra, sempre del 50% spetterebbe al Leone di Trieste: troppo, per il piano di Meloni volto a proteggere a tutti i costi i risparmi degli italiani e, soprattutto, ad assicurarsi che quei risparmi vengano investiti in Italia e per l’Italia, nei vari BTP Valore- e ora anche BTP Più-, quest’ultimo appena annunciato dal MEF e in dirittura d’arrivo.

A disturbare il sonno dei player italiani e di Meloni c’è poi il fatto che Generali, grande investitore finora di titoli di Stato italiani, dunque di BTP e debito pubblico made in Italy, è guidata dall’amministratore delegato ormai quasi storico Philippe Donnet, anche lui francese, attaccato più volte dalla coppia italiana Caltagirone-Del Vecchio, impegnata in diverse occasioni a defenestrarlo e a sostituirlo magari con un AD made in Italy, propenso secondo alcuni critici a fare di più gli interessi forse non proprio degli italiani (la diversificazione dei portafogli è di norma uno dei primi consigli che arrivano dal mondo dei gestori), ma del debito di Stato, la cui condivisione con gli investitori retail, come ammesso dalla stessa premier, è tra le priorità altrettanto di Stato.

Da segnalare che Francesco Gaetano Caltagirone è il terzo maggiore azionista di Generali, con una partecipazione pari al 6,92%, dietro Mediobanca, che ha in possesso il 13,10% del gruppo, di cui è maggiore azionista, e il Gruppo del Del Vecchio, che controlla il 9,93% del capitale.

Un’altra quota è posseduta dal Gruppo Benetton, anch’esso tra i maggiori azionisti di Generali con una partecipazione pari al 4,80%.

L’azionariato di Generali, colosso assicurativo noto anche come Leone di Trieste
Tra i maggiori azionisti di Generali, il gruppo Caltagirone, Mediobanca e la holding della famiglia Del Vecchio.

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Generali Investments conferma piano per crescere nell’asset management

Una grande notizia che ha interessato Generali è arrivata la scorsa settimana, in data 17 gennaio attraverso un comunicato diffuso dal gruppo guidato da Philippe Donnet.

Per la precisione Generali Investments, la società di asset management globale che potrebbe per l’appunto avviare una partnership con Natixis, e MGG Investment Group, gruppo di investimenti USA specializzato in prestiti diretti privati con circa 5 miliardi di dollari di attivi in gestione, hanno annunciato un accordo definitivo in base al quale Conning & Company, controllata interamente posseduta da Generali Investments, acquisirà una partecipazione di maggioranza in MGG e nelle sue affiliate.

MGG fornisce prestiti garantiti senior e soluzioni di capitale strutturato alle imprese appartenenti al middle market negli Stati Uniti. Secondo i dettagli comunicati con la nota Conning & Company ha firmato un accordo definitivo per acquistare il 77% di MGG per 320 milioni di dollari con un ulteriore impegno monetario soggetto al raggiungimento di determinati traguardi operativi.

L’impatto stimato sulla Solvency II Ratio del Gruppo Generali è di circa -2 punti percentuali.

Tornando al dossier Natixis, la scorsa settimana il Sole 24 Ore ha pubblicato indiscrezioni su questa partita nell’articolo “Generali, allerta golden power sull’intesa con Natixis” scrivendo che, appena l’operazione Generali-Natixis verrà formalmente notificata alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Palazzo Chigi valuterà se ci siano gli estremi per attivare la procedura del golden power.

Giovedì scorso, 16 gennaio, il numero uno di Generali Italia, Gianfranco Fancel non ha fatto alcun mistero del piano del gigante di Piazza Affari di crescere nell’asset management.

Nel corso di una audizione davanti alla Commissione bicamerale sugli enti previdenziali, Fancel ha ricordato che, nei confronti dei grandi nomi anglosassoni, “siamo partiti più tardi”.

Certo, “è vero siamo al 47esimo posto nel mondo ma la nostra strategia di gruppo è di forte crescita nell’asset management e lo dimostra l’acquisizione di Conning negli Stati Uniti che ci ha portato in dote circa 150 miliardi di asset under management e ci ha consentito di aumentare la nostra scala”.

Il manager ha spiegato di fatto “questa strategia di crescita dell’asset management perché è fondamentale l’economia di scala nella gestione degli investimenti, dobbiamo avere i migliori gestori che esistono sul mercato”.

Attenti però ai bastoni tra le ruote che il governo Meloni potrebbe essere pronto a mettere anche a questo dossier, oltre a quello che vede protagonista l’OPS di UniCredit su MPS, sempre in linea con la filosofia di risparmi alla Patria, sfornando l’arma del golden power.

Positivi sulla possibilità di una intesa tra Generali Investments e Natixis sono stati intanto gli analisti di Equita che hanno già scritto di ritenere che, “alla luce delle dimensioni di Natixis Investment Managers, quella della joint venture è ragionevolmente la strada più plausibile rispetto ad una piena acquisizione da parte di Generali”.

Piazza Affari ha dato finora ragione alla strategia del francese Philippe Donnet.

Nell’ultima settimana di contrattazioni sul Ftse Mib, le azioni del Leone di Trieste sono salite del 4,81%, avanzando del 9,5% circa nell’ultimo mese di contrattazioni.

YTD il trend è stato di un balzo superiore a +8,5%, mentre su base annua il titolo ha guadagnato quasi il 46%. In rialzo di oltre il 62% la performance degli ultimi tre anni di contrattazione.

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