Fontana e la storia dei camici per la Regione: tutto quello che c’è da sapere

Violetta Silvestri

31/07/2020

05/07/2021 - 16:35

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Attilio Fontana ha ricevuto un avviso di garanzia della Procura di Milano con l’accusa di turbata libertà del contraente e frode nelle pubbliche forniture per la vicenda dei camici commissionati dalla Regione all’azienda del cognato e della moglie. Cosa c’è da sapere

Fontana e la storia dei camici per la Regione: tutto quello che c’è da sapere

Attilio Fontana sempre più nel mirino della vicenda dei camici forniti alla regione in piena emergenza coronavirus da parte della società dl cognato, alla quale partecipa anche la moglie.

Il governatore della Lombardia ha ricevuto un avviso di garanzia a seguito della somma di 250.000 euro destinata proprio al cognato come risarcimento per la commessa che, improvvisamente, è diventata una donazione.

Nonostante la difesa del suo operato dinanzi al Governo regionale, Fontana resta coinvolto in una vicenda tutta da chiarire, soprattutto per gli illeciti presunti.

Tutto è iniziato con la puntata di Report dell’8 giugno, che ha fatto esplodere l’ambigua questione di un ordine di camici medici fatto dalla Regione Lombardia e affidato, senza gara, alla ditta Dama. Perché è nata la polemica? Il punto è che l’azienda in questione appartiene al 10% alla moglie del governatore e il resto a suo cognato.

Il presidente lombardo, come i diretti interessati, hanno subito chiarito che si è trattato di una donazione. Ma non è affatto tutto risolto e la situazione di Fontana si è complicata con la segnalazione da parte dell’ufficio antiriciclaggio di un bonifico da 250.000 euro.

Ecco cosa c’è da sapere sulla commessa di camici per la Regione Lombardia da parte di Dama, azienda della moglie e del cognato di Fontana.

La commessa dei camici alla ditta Dama: i fatti

La questione della fornitura di camici per personale medico della regione Lombardia è iniziata ufficialmente il 16 aprile.

In quella data, infatti, la ditta Dama spa si è aggiudicata una commessa dal valore di 513.000 euro attraverso l’agenzia regionale pubblica degli acquisti, Aria.

Secondo l’indagine di Report, tale aggiudicazione sarebbe avvenuta senza gara di appalto. Non solo, nelle analisi di approfondimento sulla proprietà dell’azienda interessata, è emerso che tale Dama spa è controllata al 10% dalla moglie di Fontana.

Roberta Dini, infatti, detiene tale percentuale della ditta attraverso la DIVADUE srl. La restante parte delle quote, invece, fa capo al cognato di Fontana, Andrea Dini.

E così è scoppiato il caso. Conflitto di interesse? Irregolarità palese? Attilio Fontana è stato subito chiamato in causa. Ma il governatore ha risposto immediatamente che lui non era a conoscenza di tale commessa e che non è mai intervenuto al riguardo.

Il problema, però, è emerso proprio sulla tipologia di commessa, perché la parola donazione è arrivata soltanto a indagine avviata. La fornitura dei camici da parte di Dama, infatti, è stata accompagnata dalla nota di credito, ovvero dalla fattura per il futuro pagamento.

Soltanto il 22 maggio è stata stornata la fattura da parte dell’azienda, che ha così palesato la donazione. Andrea Dini ha così spiegato l’ambigua questione:

“Non è un appalto, è una donazione. Chieda pure ad Aria, ci sono tutti i documenti...Effettivamente, i miei, quando io non ero in azienda durante il Covid, chi se ne è occupato ha male interpretato, ma poi me ne sono accorto e ho subito rettificato tutto perché avevo detto ai miei che doveva essere una donazione”

Una donazione, quindi, arrivata postuma secondo l’inchiesta, lasciando dubbi sulla trasparenza dell’operazione.

Fontana difende la ditta della moglie

Si è sentito accerchiato il governatore Fontana su questa vicenda della fornitura di camici da parte della ditta della moglie.

Per questo, con l’intento di eliminare ogni dubbio su presunte irregolarità, il presidente della Lombardia ha dato la sua versione dei fatti tramite un lungo post su Facebook.

Innanzitutto ha ricostruito la storia dell’ordine: a Dama vengono commissionati 7.000 set composti da camice, copricapo e calzari a 9 euro e 75.000 camici al costo di 6 euro. I prezzi, come sottolineato da Fontana, sono emersi come i più economici sul mercato.

Il giorno seguente l’ordine tutto il materiale è stato distribuito presso le strutture ospedaliere per il bisogno del personale medico sanitario.

Questo, però, è il passaggio più importante del post:

“Nell’automatismo della burocrazia, nel rispetto delle norme fiscali e tributarie, l’azienda accompagnava il materiale erogato attraverso regolare fattura stante alla base la volontà di donare il materiale alla Lombardia, tanto che prima del pagamento della fattura, è stata emessa nota di credito bloccando di fatto qualunque incasso.”

La fattura, quindi, c’è stata e stava ad indicare una richiesta di pagamento. Anche Fontana, come Dini, ha però sottolineato che tale nota di credito è stata in seguito annullata.

Un’analisi puntigliosa, comunque, ha fatto notare che in caso di donazione c’è fattura ma senza IVA. Parlando, invece, di una nota di credito, l’IVA è prevista, poiché è un acquisto.

Tutta da chiarire, inoltre, la mancata consegna alla Regione di 25.000 camici, che il cognato di Fontana avrebbe tentato di rivendere al prezzo maggiorato di 9 euro a una RSA. I camici sono stati ritrovati dalla Guardia di Finanza nelle sede Dama, ancora intatti.

Una chat Whatsapp riportata da Il Corriere della Sera, avrebbe svelato l’esistenza di un accordo preesistente per vendere in modo diverso, e più remunerativo, i 25.000 camici incriminati.

La storia del bonifico da 250.000 euro dal conto svizzero

A complicare la già imbarazzante posizione di Fontana è spuntato il tentativo del governatore di inviare un bonifico di risarcimento al cognato da 250.000 euro.

I pm stanno indagando dopo la segnalazione dell’Ufficio antiriciclaggio sul trasferimento di denaro. In teoria l’operazione sarebbe legittima, ma è stata bloccata perché in assenza di una causale coerente e perché disposto da una persona con carica istituzionale.

Inoltre, è emerso che i soldi provenivano da un conto in Svizzera dove sono depositati circa 4 milioni di euro provenienti da trust alle Bahamas “scudati” nel 2015 con la voluntary disclosure.

Una situazione, quindi, che si sta complicando per Fontana e che la magistratura dovrà chiarire su più punti. Perché c’è stato un tentativo di compensazione se la fornitura di camici doveva essere una donazione?

Inoltre, la storia del conto in Svizzera ha svelato l’esistenza di conti illeciti per Fontana?

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