Il «no» a un governo-bis, dopo settimane di millantato credito di Calenda e Renzi, consolida l’egemonia elettorale Letta-Meloni. Di colpo, partono due siluri sul flop energetico con Francia e Algeria
Che l’occasione fosse divenuta propizia per un’operazione di rimozione di macigni nelle scarpe, lo si era capito dai toni utilizzati. Perché quando un presidente del Consiglio scomoda in conferenza stampa termini come pupazzi prezzolati, è lo stomaco a parlare. Forse la bile. Non certo una mente fredda. Soprattutto se il riferimento è a presunte quinte colonne italiane della Russia, le stesse la cui esistenza era stata smentita poche ore prima dal segretario di Stato Usa in persona. E nel corso di una telefonata con il medesimo accusatore.
Il quale, poi, rincara la dose sul tema Cremlino e dintorni, rivendicando la scelta di schierarsi con l’Ucraina, di fornirle armi e sottolineando grave come c’è chi parla di nascosto con i russi e vuole togliere le sanzioni. E qui la questione appare ancora più seria. Perché il ruolo di un presidente del Consiglio di un Paese del G7, al netto dell’essersi schiarato legittimamente con Kiev, rende moralmente obbligatorio parlare con tutti. Soprattutto con una potenza nucleare con cui l’Italia è stata amica e partner fino al 23 febbraio. Non fosse altro per cercare una mediazione, se possibile, Ovviamente, trasferire unilateralmente armi all’avversario appare più facile. E foriero di like e applausi dal loggione che conta.
Ma il coup de theatre del presidente del Consiglio è stato il netto no opposto a chi gli chiedeva la sua potenziale disponibilità alla guida di un governo-bis. Un monosillabo che, a una settimana dal voto, ha assunto un significato chiarissimo: un’entrata in tackle scivolato sul menisco del Terzo polo di Calenda e Renzi. Il quale, infatti, aveva nella nascita di un nuovo governo dei Migliori guidato dall’ex numero uno Bce la sua ragione sociale e statutaria. Oltretutto, dopo intere settimane di mantra al riguardo senza che l’inquilino di Palazzo Chigi avesse sentito il bisogno di smentire. Di fatto, lasciando intendere la sua non indisponibilità totale.
Da ieri, invece, chi vota Terzo polo lo fa per puro spirito di testimonianza contro il bipolarismo Letta-Meloni, divenuto di colpo tema di egemonia elettorale in vista del voto del 25 settembre. E un assist al PD, quantomeno alla luce del quasi accordo saltato dopo sole 48 ore e che potrebbe spingere molti potenziali elettori di Calenda e Renzi a scegliere invece la casa madre, stante proprio quel no di Mario Draghi che pare rendere inutile il ruolo di terzo incomodo per generare massa critica al fine di ottenere il bersaglio grosso di un altro esecutivo di unità nazionale. Il quale, oltretutto, avrebbe reso totalmente inoffensiva l’ala sinistra di LEU e la variabile Cinque Stelle post-scissione. Ora, invece.
Insomma, uno tsunami a una settimana dal voto. A cui è seguito un altro sommovimento tellurico. Questa volta, editoriale. Con un uno-due degno del Mike Tyson più in forma, La Repubblica oggi ha infatti assestato un colpo da ko alla credibilità dell’esecutivo in uscita. E proprio sul tema esiziale della crisi energetica, rilanciando a poche ore una dall’altra queste due notizie:
La Francia ci spegne la luce: "Nei prossimi due anni niente elettricità all'Italia" [di Andrea Greco] https://t.co/FLcNv7iM2Z
— Repubblica (@repubblica) September 16, 2022
Gas, dubbi sull'aumento delle forniture dall'Algeria all'Italia. Eni: "Non risulta" [di Leonardo Martinelli, Luca Pagni] https://t.co/SvM9bjKp57
— Repubblica (@repubblica) September 17, 2022
apparentemente e dopo mesi di narrativa contraria, l’Italia sarebbe potenzialmente senza forniture alternative a quelle russe. E la strategia dei Migliori - fra stoccaggi riempiti dissanguandosi con il gas norvegese a prezzi stellari, battaglia per il price cap in sede europea miseramente persa e tour esteri del premier e del ministro degli Esteri fra Algeria, Stati Uniti e Angola a rischio bidone - totalmente fallita.
Al netto di due scoop degni di questo nome, appare decisamente strano il timing dell’uscita di Repubblica. E il volersi bruciare entrambe le notizie nell’arco di poche ore, invece che tenere in ghiaccio la pista algerina almeno per il giorno dopo. Insomma, se l’atmosfera alla conferenza stampa di Draghi era da lancio dei sassolini, quella che contorna queste uscite ha il profilo del blitz bellico per sfondare le linee nemiche. Agendo di sorpresa e con tutti i reparti a disposizione. E l’esclusiva rispetto allo stop di EdF alle fornitura verso l’Italia per due anni (un 5% del totale dell’elettricità nazionale che, in tempi come questi, vale oro) è particolarmente dolorosa per il governo, poiché tutti ricordano la pompa magna mediatica che accompagno lo scorso novembre la firma del cosiddetto Trattato del Quirinale con la Francia.
Il quale, all’articolo 3, parte 3, recita come Le Parti rafforzano il coordinamento nei principali settori della politica economica europea, quali la strategia economica e di bilancio, l’industria, l’energia... Apparentemente, la Francia si è coordinata sul tema. Ma con la Germania. E a nessuno è sfuggita l’altra frase dal connotato elettorale di Mario Draghi in conferenza stampa, il riferimento alla scelta degli alleati utili in Europa, di fatto una sorta di rivendicazione della primazia politica di chi tratta con Parigi e Berlino e non con Budapest, come fa Giorgia Meloni. Qualcosa si è rotto nelle ultime ore negli equilibri politici. A una settimana dal voto. Ma l’unica certezza è che l’Italia, alla vigilia della stagione fredda e dei razionamenti, naviga a vista nell’oceano in tempesta degli approvvigionamenti energetici. Cremlino farà presto rima con Canossa?
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