Le tensioni geopolitiche hanno fatto perdere appeal al dollaro e queste economie emergenti si stanno cautelando acquistando grossi quantitativi di oro.
Che cosa sta accadendo al dollaro? Sembra che la moneta statunitense stia perdendo progressivamente lo status di valuta di riferimento globale e dominante, di moneta di riserva per le banche centrali e di mezzo di scambio principale nel commercio internazionale. A mettere in discussione la posizione privilegiata del dollaro statunitense ci ha pensato inizialmente lo yuan cinese, ma ora, a quanto pare, sempre più Paesi stanno abbandonando il dollaro come valuta di riserva, sostituendolo con l’oro.
Il cambiamento in atto è evidente soprattutto nei Paesi BRICS, ovvero quel gruppo di Stati le cui economie sono considerate emergenti e in rapida ascesa. Secondo il World Gold Council, le banche centrali di questi Paesi emergenti, nei primi nove mesi del 2025, hanno acquistato 663 tonnellate di oro per un valore di circa 91 miliardi di dollari. Acquisti massicci effettuati nonostante i prezzi dell’oro abbiano raggiunto livelli massimi storici. Questo rappresenta un chiaro segnale della tendenza dei Paesi BRICS ad abbandonare le riserve in dollari per sostituirle con oro fisico.
I Paesi BRICS sono Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, ai quali si sono recentemente aggiunti Egitto, Etiopia, Iran ed Emirati Arabi Uniti. Tutti questi Paesi detengono attualmente oltre 6.000 tonnellate di oro globale.
A guidare la classifica dei Paesi con la maggiore quantità di oro posseduto tra i BRICS c’è la Russia con 2.336 tonnellate, seguita dalla Cina con 2.298, dall’India con 880 e dal Brasile con 145,1 tonnellate. Se si analizza il contesto globale, questi Paesi risultano ancora molto distanti dagli Stati Uniti, che detengono la quota più elevata di oro mondiale, con 8.133 tonnellate di metallo prezioso nelle loro riserve.
Perché i Paesi BRICS stanno acquistando oro
Tra il 2020 e il 2025, i Paesi BRICS hanno aumentato la loro quota di oro nelle riserve del 102%. Un balzo determinato da acquisti aggressivi da parte delle banche centrali in un contesto di crescente incertezza geopolitica. L’accumulo accelerato di oro ha infatti preso slancio dopo le sanzioni occidentali contro la Russia in seguito all’invasione dell’Ucraina nel 2022. Tali misure hanno generato un clima di forte tensione geopolitica, spingendo molti Paesi emergenti e in via di sviluppo a cercare alternative credibili alla dipendenza dal dollaro e a portare avanti una politica di de-dollarizzazione, con una conseguente virata verso l’oro.
Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha cercato di limitare questo processo di allontanamento dal dollaro, arrivando a minacciare i Paesi BRICS di ulteriori dazi nel caso avessero perseguito alternative alla valuta americana. Solo lo scorso mese di luglio Trump ha dichiarato: «Qualsiasi Paese che aderirà alle politiche antiamericane dei BRICS sarà soggetto a un ulteriore dazio del 10%».
Nonostante queste minacce, i Paesi emergenti hanno proseguito sulla loro strada e continuato a ridurre la quota del dollaro statunitense nelle riserve valutarie, che nel secondo trimestre del 2025 è scesa al 56,32%, il livello più basso degli ultimi trent’anni, con un calo di oltre il 70% rispetto ai primi anni Duemila.
Al contrario, le economie occidentali non sono riuscite ad aumentare in modo significativo la loro quota di oro, che è cresciuta soltanto del 12% quest’anno, passando dal 62,7% al 70,2%, un incremento dovuto più all’aumento del valore del metallo che a nuovi acquisti rilevanti.
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