Da “Just do it” a “Why do it”. Dopo quasi 40 anni Nike cambia slogan per parlare alle nuove generazioni

Giorgia Paccione

19/09/2025

Il colosso dello sportswear rilancia il suo iconico payoff trasformandolo in una domanda per conquistare la Gen Z e risollevare le performance finanziarie in calo.

Da “Just do it” a “Why do it”. Dopo quasi 40 anni Nike cambia slogan per parlare alle nuove generazioni

Nike ha deciso di rivoluzionare la propria comunicazione con il lancio della campagna “Why do it?”, una reinterpretazione moderna del leggendario slogan “Just do it” che ha accompagnato il brand per quasi quattro decenni. La nuova strategia, presentata a settembre 2025, rappresenta un tentativo di riconquistare le nuove generazioni, in particolare la Gen Z, attraverso un approccio che trasforma l’imperativo del “fai e basta” in una riflessione più profonda sul “perché vale la pena farlo”.

La campagna è stata lanciata globalmente con uno spot cinematografico di 60 secondi narrato da Tyler, The Creator e vede protagoniste icone dello sport come LeBron James, Carlos Alcaraz, Saquon Barkley, Caitlin Clark, Rayssa Leal e Qinwen Zheng.

Come ha spiegato la CMO Nicole Graham, “l’iniziativa può essere un antidoto ai dubbi, alle paure e agli imbarazzi dei giovani”, riposizionando il concetto di vittoria e grandezza come una scelta piuttosto che un risultato da raggiungere a tutti i costi.

Ma come si è arrivati a questa svolta? Ecco le tappe più salienti e le motivazioni socio-culturali del nuovo posizionamento del brand.

La storia del celebre slogan “Just do it”

Il celeberrimo “Just do it” ispirato alle ultime parole del condannato a morte Gary Gilmore “Let’s do it” nacque nel 1988 e divenne rapidamente uno dei payoff più riconoscibili al mondo.

La forza dello slogan risiedeva nella sua universalità: poteva essere applicato tanto all’atleta professionista quanto alle persone comuni, contribuendo alla creazione di un senso di appartenenza a una community globale unita dalla passione per lo sport e dal desiderio di miglioramento continuo.

Il primo spot mostrava Walt Stack, un runner ottantenne che attraversava il Golden Gate Bridge correndo, incarnando una filosofia basata sull’eliminazione delle scuse e sulla spinta verso il superamento dei propri limiti.

Era l’epoca in cui Nike combatteva ancora per conquistare quote di mercato contro giganti come Adidas e Reebok.

Da allora, quelle tre parole sono diventate molto più di uno slogan pubblicitario, ma un vero e proprio manifesto culturale che ha visto il brand impegnato in campagne di comunicazione audaci e volte a veicolare messaggi globali di giustizia, uguaglianza e riscatto. Nel 1995, ad esempio, con “If you let me play”, Nike estese il messaggio alle ragazze e alle giovani donne. Nel 2018, invece, per il 30° anniversario di “Just do it”, il brand mise al centro dello spot “Dream crazy” Colin Kaepernick, l’ex quarterback della NFL che aveva protestato contro l’ingiustizia razziale inginocchiandosi durante l’inno nazionale.

Sono tre parole molto preziose per noi - sottolinea la Graham - “hanno assunto significati diversi in base a ciò che stava accadendo nel mondo”. Ed è proprio questa capacità di adattarsi ai tempi che ha reso “Just do it” immortale, permettendo a Nike di attraversare decenni di cambiamenti culturali e sociali.

Risultati in calo e necessità di riposizionamento

La decisione di Nike di rinnovare la propria comunicazione arriva in un momento particolarmente delicato per l’azienda, che ha chiuso l’anno fiscale 2025 con ricavi pari a 46,3 miliardi di dollari, in calo di circa il 10% rispetto all’anno precedente. Particolarmente preoccupante è il dato del canale diretto, che ha registrato ricavi per 5 miliardi di dollari, in calo del 13% su base annua.

Parallelamente le azioni Nike sono scese di circa il 27% nel 2024, evidenziando la sottoperformance del titolo rispetto al mercato generale.

Tutti questi numeri riflettono però una difficoltà più ampia del brand nel mantenere la propria rilevanza presso le nuove generazioni di consumatori, sempre più attenti ai valori e al “purpose” dei marchi che scelgono, a cui si aggiungono la concorrenza di marchi emergenti come come On e Hoka che hanno eroso quote di mercato storicamente solide per il colosso di Beaverton.

La crisi di Nike, dunque, non è solo numerica, ma anche di posizionamento: “Non eravamo così precisi e chiari sui nostri valori come azienda”, ha ammesso con onestà Graham, riconoscendo gli errori strategici degli ultimi anni.

Il passaggio generazionale

La scelta di passare da “Just do it” a “Why do it?” riflette un cambiamento generazionale profondo. La Generazione Z vive in un mondo di social media dove ogni performance è sotto scrutinio e la paura del fallimento può paralizzare prima ancora di provare.

Questo passaggio rappresenta quindi l’evoluzione di una mentalità che mette in discussione il senso tradizionale di vittoria e in cui l’incertezza non è più vista come debolezza ma come punto di partenza per una riflessione più autentica.

Quello che abbiamo cercato di fare come brand è riaffermare che siamo innamorati della vittoria, ma che vincere è un concetto relativo. Non c’è un percorso lineare diretto e ci sono molti modi per arrivarci.

Il video non mostra infatti gli atleti nella gloria della vittoria, ma nel momento in cui scelgono di rischiare, come celebrazione del processo più che del risultato.

Perché proprio ora

La tempistica del lancio non è casuale. Nike ha attraversato 18 mesi di profonda trasformazione del marketing per risollevare il brand. La stessa Nicole Graham è tornata come CMO nel novembre 2023, dopo 17 anni in Nike e un’esperienza imprenditoriale. Nell’ottobre 2024, Elliott Hill, altro veterano Nike, è diventato CEO sostituendo John Donahoe.

Questa nuova leadership ha implementato una strategia, denominata “Sport Offense”, che lavora in tandem con il piano di rilancio. L’azienda ha riorganizzato il business per sport specifici invece che per categorie demografiche (uomo, donna, bambino), concentrandosi su comunità sportive, grandi eventi live come Olimpiadi e Super Bowl, e uno storytelling incentrato sugli atleti.

Why do it?” rappresenta quindi il culmine di questa trasformazione.

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