Cos’è il contratto di riservatezza, il non disclosure agreement?

Francesca Nunziati

13 Settembre 2022 - 20:19

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Nella pratica contrattuale, soprattutto fra aziende che si accordano per concludere affari insieme, è frequente l’utilizzo di accordi di riservatezza. Vediamo cosa sono e come devono essere redatti.

Cos’è il contratto di riservatezza, il non disclosure agreement?

L’Accordo di Riservatezza (NDA o Non Disclosure Agreement in inglese) è il contratto che si usa per garantire che le informazioni condivise tra due soggetti rimangano riservate. In particolare, l’obiettivo di questi accordi è che i dati scambiati non vengano divulgati e non siano utilizzati per scopi diversi da quelli concordati tra le parti.

Per informazioni riservate si intendono tutti quei dati non pubblici che hanno un valore economico e la cui diffusione può danneggiare la parte che li ha condivisi. Ad esempio, possono essere confidenziali il know-how, le tecnologie, le idee brevettabili, dati finanziari o commerciali, business plan, studi, rapporti o dati aziendali.
È un contratto generalmente a tempo determinato, molto utilizzato per una varietà di operazioni di natura societaria, commerciale, tecnico-produttiva o finanziaria.

Nei rapporti commerciali, per esempio, la conclusione dell’NDA non rende scontato un accordo successivo, ma è solo una base di partenza per l’inizio delle trattative. Molto spesso all’interno dello stesso NDA è precisato tramite una clausola il fine e lo scopo dell’NDA, che non pregiudica alcuna possibilità e non costituisce nessun obbligo di conclusione di futuri accordi.

La durata, solitamente di 5 anni, obbliga le parti a rispettare l’accordo per quel dato termine, anche qualora i rapporti commerciali non siano proseguiti o le trattative non siano andate a buon fine.

Ma analizziamo le fonti normative e gli obblighi principali che discendono dalla loro sottoscrizione.

Le fonti normative

L’unica fonte normativa che fa cenno agli accordi di riservatezza è l’articolo 2105 del codice civile. Questo recita: “Il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore, né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio”.

Questa è una regola di tutela della concorrenza introdotta dal legislatore del codice civile e che investe il personale di lavoro dipendente. Tale personale non deve non divulgare soltanto le informazioni esplicitamente previste dalla norma ma tutte quelle che hanno un valore aziendale e che possono essere utili alla concorrenza.

L’osservanza di tale divieto da parte del lavoratore si protrae per tutta la durata del rapporto e viene meno con la sua cessazione. La norma individua tale divieto come adempimento dell’obbligo di fedeltà del dipendente.

L’inosservanza di tale divieto tuttavia può comportare, oltre alla violazione dell’articolo suddetto, anche l’integrazione delle fattispecie di reato di cui agli articoli 622 e 623 del codice penale. Si tratta rispettivamente del reato di rivelazione del segreto professionale ovvero del reato di rivelazione dei segreti scientifici e industriali.

Le obbligazioni nascenti dagli accordi di riservatezza

L’accordo di riservatezza è un contratto ad effetti obbligatori fra le parti. Tra la parte che fornisce le informazioni e quella che le riceve nascono infatti delle obbligazioni. In capo alla parte che riceve le informazioni in particolare nascono i seguenti obblighi:

  • custodire le informazioni, ovvero mantenerle riservate con la diligenza necessaria alla loro natura;
  • non utilizzarle per scopi estranei alle trattative o all’esecuzione del contratto;
  • non divulgarle a terzi o a soggetti che non sono menzionati nel contratto nemmeno parte di tali informazioni;
  • obliare tali informazioni una volta cessati gli effetti del contratto.

La custodia

L’obbligazione di custodia nascente in capo al soggetto ricevente le informazioni viene classificata dalla dottrina più autorevole come un’obbligazione di mezzi e di fare. La formula che più si utilizza nella prassi per la nascita di tale obbligazione trae ispirazione da quanto previsto dall’articolo 98 del codice della proprietà industriale con riguardo alla tutela dei segreti commerciali. In particolare la lettera c) del primo comma della norma stabilisce che le informazioni aziendali e le esperienze tecnico-industriali, comprese quelle commerciali “siano sottoposte, da parte delle persone al cui legittimo controllo sono soggette, a misure da ritenersi ragionevolmente adeguate a mantenerle segrete“.

Tale obbligo di custodire le informazioni deve inoltre essere adempiuto con la necessaria diligenza. Non si intende quella “del buon padre di famiglia” bensì quella che si utilizzerebbe per custodire informazioni proprie della stessa natura.

L’Oblio

L’obbligo della parte ricevente di obliare le informazioni ricevute durante le trattative o l’esecuzione del contratto può sorgere quando:

  • le trattative si interrompono;
  • viene meno l’interesse della parte che ha fornito le informazioni;
  • cessano gli effetti del contratto.

L’adempimento di tale obbligo avviene mediante la restituzione delle informazioni ricevute in formato cartaceo o elettronico ovvero l’eliminazione delle stesse da supporti elettronici o archivi dai quali risultino disponibili.

Non utilizzo per scopi estranei

L’insorgenza dell’obbligo di non utilizzo delle informazioni per scopi estranei è strettamente connesso a quello di non divulgazione. La questione del divieto di utilizzo tuttavia assume rilievo se bisogna considerare tale divieto in relazione al verificarsi di un evento dannoso per il soggetto che divulga le informazioni oppure se un utilizzo possa essere fatto qualora non arrechi un danno.

Per dare una risposta a tale questione si prendono come riferimento le interpretazioni dottrinali sulle norme che il codice civile, ed altre leggi speciali, pongono a tutela dei segreti aziendali. Tali interpretazioni sono orientate verso il ritenere che il significato del verbo utilizzare si intenda quale impiego potenzialmente nocivo al soggetto divulgante e ai soggetti collateralmente con esso coinvolti.

I più ritengono pertanto che le informazioni ricevute non si debbano utilizzare per scopi estranei qualora possa da tale utilizzo derivare un danno. Anche il dato letterale della formula con cui sorge tale obbligazione che fa riferimento alle trattative o all’esecuzione del contratto conferma tale interpretazione.

fac simile Non Disclosure Agreement
Un fac simile dell’accordo di riservatezza

Non divulgazione delle informazioni

Come la precedente si tratta di un’obbligazione di non fare. A differenza di quella precedente però l’inadempimento e dunque la mancata osservanza dell’accordo si verifica in ogni caso in cui si divulghino le informazioni riservate.

A prescindere dal fatto che dalla loro divulgazione derivi un danno al titolare. Il danno, infatti, non è detto sia immediato, bensì potrebbe manifestarsi dopo un periodo di tempo anche lungo.

La violazione di un «Non Disclosure Agreement»

La firma di un accordo di riservatezza fa nascere un vero e proprio obbligo di protezione delle informazioni condivise. Per questo motivo, chi lascia trapelare le informazioni riservate dovrà risarcire il danno causato alla controparte. Tuttavia, in questi casi può essere molto difficile valutare le conseguenze economiche della condivisione. Infatti, queste possono dipendere da molteplici fattori, ad esempio dal soggetto con cui si condividono le informazioni.

Come già accennato, la comunicazione o l’utilizzo delle informazioni protette dalla confidenzialità non sempre comporta una violazione del patto di riservatezza. Infatti, esistono dei casi in cui chi riceve le informazioni è autorizzato a condividerle con altri soggetti (ad es. dipendenti o collaboratori). Tuttavia, è molto importante che nel contratto vengano identificati con precisione questi soggetti e gli scopi per cui è consentita la condivisione delle informazioni.

Gli accordi di riservatezza possono prevedere – ma non necessariamente contengono – clausole penali o altri rimedi in caso di violazione. La clausola penale ha funzione di deterrenza; stabilisce un’entità di risarcimento predefinito; concorre alla mitigazione del rischio da rivelazione del know how.

Per contro, se la clausola penale è mal scritta, può limitare il danno risarcibile o non è efficace; in certe giurisdizioni non è ammissibile (ad esempio, se non ha funzione puramente restitutoria, in UK, Irlanda, Stati Uniti, o nell’Ue, e in contratti con i consumatori) o può essere ridotta (Germania, Francia, Italia, Belgio, Svizzera, Paesi Bassi). si può affermare che in generale, risulta di difficile negoziazione ed irrigidisce la trattativa.

Non stupirà, dunque, che la maggior parte degli accordi di riservatezza – anche a livello internazionale – non prevede clausole penali o altri simili rimedi contrattuali.

In caso di violazione, i rimedi a cui la parte avrà diritto saranno quelli previsti dalla legge applicabile all’accordo. Pertanto, è opportuno che le parti indichino nell’accordo internazionale la legge regolatrice e il tribunale competente in caso di controversia.

Si può concludere, in ogni caso, che l’accordo di riservatezza è, soprattutto per le PMI italiane, uno dei principali strumenti che l’impresa deve padroneggiare per continuare a meritare la fiducia dei suoi clienti e, a sua volta, per proteggere ed incrementare il patrimonio di conoscenze (e di fatturato) che ha costruito.

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