Cosa significa Ius Scholae, chi lo vuole e chi no

Giorgia Bonamoneta

24/08/2024

Il tema di dibattito estivo è la cittadinanza italiana attraverso lo Ius Scholae. Ma che cos’è e quali sono le posizioni all’interno della maggioranza di governo?

Cosa significa Ius Scholae, chi lo vuole e chi no

Lo Ius Scholae torna a far discutere la politica e divide la maggioranza tra chi, come Forza Italia, è d’accordo a una riforma che regolarizzi gli studenti e le studentesse straniere in Italia e chi, come Giorgia Meloni e Matteo Salvini si esprimono contro, arrivando a utilizzare scuse di “priorità” di altri temi o toni bassi, molto bassi, fino allo svilimento.

L’Italia è un Paese di migrazioni, dall’esterno verso l’interno e viceversa. Lo è sempre stato, anche prima che una destra esplicitamente estremista creasse l’allarme immigrazione per compattare le file di “veri italiani” con l’amor di patria stampato sul braccio. L’Italia, allo stesso modo, è sempre stato un Paese difficile da abitare per gli stranieri, tra razzismo istituzionalizzato e negazioni di diritti. Eppure, anche con tutte le difficoltà del caso, in Italia di stranieri ce ne sono eccome, alcuni hanno figli e persino nipoti nati sulla penisola a stivale.

La cittadinanza, nelle sue varie forme e proposte, è sempre stato un tema discusso e complesso, vittima di ideologie come mausolei vuoti o di paure di una presunta perdita dell’italianità vera. Qualsiasi cosa significhi.

Ora il punto, in questo agosto bollente, è se una riforma per accedere alla cittadinanza serva davvero e quale forma dovrebbe avere: somigliare allo Ius Soli o accontentarsi (ma anche “pretendere”) uno Ius Scholae. Tra chi chiede diritti e chi la conoscenze di sagre e piatti tipici, il dibattito alla cittadinanza rischia di diventare, ancora una volta, un passatempo da salotto televisivo che sfuma in un nulla di fatto.

Che cos’è lo Ius Scholae?

Lo Ius Scholae è una delle proposte presentate nel tempo per determinare la cittadinanza dei giovani residente e studenti in Italia. Questo sistema permetterebbe il riconoscimento della cittadinanza italiana ai giovani nati o arrivati in Italia prima del compimento dei 12 anni e che risiedono legalmente nel Paese. Viene richiesto di aver frequentato almeno 5 anni di studio in Italia in uno o più cicli scolastici.

In questo modo, è stato recentemente calcolato, verrebbero regolarizzati quasi mezzo milione di giovani stranieri in 5 anni, che per background si sentono italiani o figli di due Paesi. A 18 anni potrebbero quindi richiedere la cittadinanza in forma volontaria.

La differenza con lo Ius Soli

In Italia è in vigore lo Ius Sanguinis, ovvero un sistema di acquisizione di cittadinanza per discendenza o filiazione. Si tratta di un principio sancito dalla legge 91 del 1992 e che si differenzia dallo Ius Scholae per un principio di appartenenza a un altro soggetto, come un genitore o tutore con la cittadinanza italiana.

Si tratta di una forma limitata di cittadinanza e che nel tempo ha creato non pochi problemi, come al senso di appartenenza al territorio dei e delle giovani straniere in Italia. Lo Ius Soli invece propone di concedere la cittadinanza a chi nasce in Italia, ma è molto criticato da chi vede nella migrazione via mare il “problema dell’Italia” e vi ha costruito sopra una politica del noi contro loro, alimentando razzismo e senso di paura.

Chi è contro e chi è a favore dello Ius Scholae: perché

Lo scontro è iniziato tra Antonio Tajani e Matteo Salvini, al quale poi si è aggiunta la premier Giorgia Meloni. Il leader di FI ne sta facendo una questione di principio e non intende cedere a chi gli chiede di non parlare. Meloni sembra aver intuito il rischio di un allargamento del bacino elettorale della parte più moderata della maggioranza e si è unita al dibattito per sgonfiare i toni e quindi far ricadere nella penombra dello sgabuzzino delle buone idee (alla quale lei stessa aveva detto sì solo nel 2022) il diritto alla cittadinanza tramite la riforma dello Ius Scholae.

Nel frattempo l’opposizione si è unita e tra i tre litiganti prova a infilare una mozione - prevista per settembre - che chiede al governo di impegnarsi a cambiare le norme di cittadinanza calendarizzando già a ottobre la discussione.

A Tajani sarà forse concessa qualche briciola, ma i giochi sembrano chiusi con la lapidaria affermazione del non addetto ai lavori Francesco Lollobrigida, che da ministro dell’Agricoltura (cognato della premier) risponde con un “non serve alcune riforma” e per confondere gli ascoltatori ha citato anche l’Impero romano e la cristianità, sì anche per chi non crede (poco importa della libertà di culto dopotutto). Chissà da dove ha preso questa certezza, soprattutto a distanza di così poco tempo dalle Olimpiadi di Parigi, che hanno schierato atleti di seconda e terza generazione e hanno fatto gran orgoglio al medagliere italiano. Una presenza che si scontra quindi con quella che il ministro vuole riportare a un’identità costruita nei secoli e che rende (o dovrebbe) i cittadini “consapevoli di quello che valiamo”.

Angelo Bonelli, di Europa Verde, chiede di non relegare il tema dello Ius Scholae ad argomento di dibattito estivo o, peggio ancora, a pretesto per litigi interni alla maggioranza.

Nel frattempo, tra i politicanti in cerca di attenzione mediatica, c’è chi vive ogni giorno le dirette conseguenze dell’assenza di cittadinanza. Solo in Piemonte gli alunni senza cittadinanza sono 88mila (dato della Prefettura), in Toscana sono 87mila (censimento dell’Ufficio scolastico regionale) e in Lombardia sono 70mila. L’Adi, l’associazione docenti e dirigenti scolastici italiani, si è espressa a favore della riforma. I punti di interesse sono molti, a partire dai diritti dei giovani, fino a uno strizzare l’occhio al governo Meloni che ha fatto della battaglia contro il calo demografico e l’invecchiamento un cardine.

La scuola è il passaggio fondamentale dove tutti i ragazzi camminano naturalmente insieme, quale che sia l’origine etnica”, ha detto Giovanni Cominelli (Adi). Mentre Marcello Pacifico, di Anief (associazione di docenti e personale dell’istruzione) ha ricordato come: “Sarebbe opportuno prevedere la cittadinanza già per chi ha seguito la scuola dell’obbligo perché non è la nascita o la lingua che dà diritto di cittadinanza di un Paese ma la cultura che insegniamo nelle nostre scuole”.

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