Contratto a tempo determinato, cosa è cambiato nel 2023 per durata e rinnovo

Claudio Garau

11 Luglio 2023 - 13:37

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Novità di rilievo attengono al contratto a tempo determinato, così come emerso prima dal decreto Lavoro, poi dalla sua conversione in legge. Scopriamole insieme.

Contratto a tempo determinato, cosa è cambiato nel 2023 per durata e rinnovo

Il contratto a tempo determinato è assai utilizzato in Italia e l’ottica del recente decreto Lavoro è anche quella di non sfavorirne il ricorso, attraverso un’apertura ad una maggiore flessibilità. Quest’ultima è infatti in qualche modo ’fisiologica’ rispetto ad un modo di fare impresa coerente con le oscillazione cicliche del mondo del lavoro.

Al contempo però la disciplina di cui al decreto Lavoro convertito in legge mira ad un equilibrato contenimento dell’uso del contratto a termine, permettendone il controllo della sua applicazione, ma anche assecondando la preoccupazione di impedirne una sproporzionata diffusione.

In Gazzetta Ufficiale dello scorso 3 luglio la pubblicazione della legge di conversione del decreto Lavoro (D.L. 4 maggio 2023 n, 48). Il provvedimento è in vigore dal giorno posteriore alla pubblicazione, ovvero il 4 luglio.

Con il recente provvedimento del Governo importanti aggiornamenti riguardano il contratto a tempo determinato e questo perché il decreto Lavoro - nella prima versione - già conteneva regole nuove sulla disciplina dei contratti a termine e collegate causali. Dette regole sono state estese altresì ai rinnovi dal testo convertito in legge. Vediamo allora un po’ più da vicino quali sono le maggiori novità in proposito.

Contratto a tempo determinato: il contesto di riferimento

Fugando il campo da possibili dubbi, ricordiamo che il contratto a tempo determinato, o anche contratto a termine, altro non che un contratto di lavoro subordinato con una durata predeterminata per l’introduzione di un termine - vale a dire un giorno superato il quale il rapporto di lavoro si intende concluso.

La forma ordinaria del rapporto di lavoro dipendente rimane il contratto a tempo indeterminato, perciò l’apposizione di un termine deve essere correlata al rispetto di determinate condizioni. In primis l’apposizione del termine è priva di efficacia se non emerge da atto scritto, tranne per i rapporti di lavoro di durata non superiore a 12 giorni - così specifica peraltro il sito ufficiale del Ministero del Lavoro.

La legge inoltre indica in generale che i contratti di questo tipo sono ammessi:

  • a patto che non vi siano espressi divieti, e salvo specifici limiti quantitativi e di durata;
  • in linea generale fino ad un massimo di 12 mesi (e non oltre i 24), salvo ricorrano specifiche causali.

Fino al varo del recente decreto Lavoro, le causali si riferivano ad esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività, di sostituzione di altri lavoratori o collegate a aumenti temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività di lavoro in azienda. Come ora vedremo, il decreto Lavoro ha aggiornato il quadro delle causali cui fare riferimento.

Novità della conversione in legge del provvedimento

Con l’entrata in vigore del decreto Lavoro convertito in legge, a partire dallo scorso 4 luglio ai contratti a tempo determinato si applicano nuove causali per quegli accordi tra datore di lavoro e dipendente che superano la durata di 12 mesi. Eccole di seguito:

  • particolari esigenze indicate dai Ccnl, sottoscritti dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, oppure dalle rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria;
  • particolari esigenze di ambito tecnico, organizzativo e produttivo individuate dalle parti in assenza della previsione della contrattazione collettiva, su certificazione delle stesse presso una delle commissioni ad hoc (di cui agli artt. 75 e seguenti del d. lgs n. 276 del 2003). La causale appena menzionata è comunque applicabile soltanto con atti di tra datore di lavoro e dipendente sottoscritti entro il 30 aprile 2024;
  • esigenze dovute alla necessaria sostituzione di altri dipendenti (conferma rispetto alla disciplina pre decreto Lavoro).

Queste causali aggiornate hanno sostituito quelle in precedenza in vigore, sono valide per i contratti a termine 2023 di durata maggiore di 12 mesi e valgono per i rapporti di lavoro con limite massimo di proroga a 36 mesi.

Al contempo con il decreto Lavoro viene confermata la sottoscrizione dei contratti a termine senza obbligo di apposizione di causali - fino a 12 mesi di durata del contratto stesso. In particolare, il testo diventato legge ha indicato che i rinnovi e non soltanto le proroghe possono essere senza causali fino ad un anno.

In altre parole, si dispone oggi che il contratto può essere prorogato e rinnovato liberamente nei primi 12 mesi e, dopo, esclusivamente in presenza delle causali sopra menzionate. A questo scopo, nel calcolo dei 12 mesi in oggetto, sia per le proroghe sia per i rinnovi ci si riferisce solo ai contratti firmati a partire dal 5 maggio 2023, data di entrata in vigore del decreto Lavoro. Sicuramente ciò favorisce una sorta di ricorso ’controllato’ al contratto a tempo determinato, al contempo sfavorendo casi di abuso.

Contratti oltre i 24 mesi: le regole aggiornate

In ipotesi di una durata maggiore, ma comunque nel limite massimo totale di 36 mesi, sussiste la fase del passaggio presso i competenti servizi ispettivi del lavoro o, in alternativa, ad una delle sedi delle commissioni di certificazione di cui alla legge.

Detta fase serve ad acclarare la presenza delle ragioni tecniche, organizzative, produttive che impongono la necessità del supplementare periodo oppure la previsione iniziale di un contratto a tempo determinato oltre i 2 anni, ma compreso comunque entro i 3. Ebbene, le regole riguardanti proprio i contratti di lavoro a tempo determinato di durata superiore ai 24 mesi ed entro i 36, sono confermate nel decreto Lavoro, così come previste già nel decreto Dignità.

Detti contratti a termine di durata massima triennale saranno dunque ancora possibili, ma soltanto - lo rimarchiamo - dopo aver acclarato la sussistenza delle ragioni tecniche, organizzative e produttive che impongono la necessità di prorogare un contratto a tempo determinato al di sopra dei 24 mesi.

Superamento limiti di durata: che succede?

A questo punto ci si potrebbe legittimamente chiedere che accade se in un contratto a tempo determinato sono superati i limiti previsti dalla legge e ciò in mancanza delle condizioni che lo consentirebbero, in base al testo del decreto Lavoro convertito in legge.

Ebbene la regole attuali indicano che laddove sia oltrepassato il limite di durata dei 12 mesi (anche con proroga o rinnovo), in mancanza dei presupposti che consentono l’estensione a 24 mesi, oppure laddove sia superato il limite dei due anni, il contratto a tempo determinato si trasforma in contratto a tempo indeterminato dal giorno di superamento del termine.

Esclusioni

Infine vi sono dei contratti a termine che non rientrano nella nuova disciplina. Ci riferiamo, in particolare, ai contratti sottoscritti dai seguenti soggetti:

  • le Pubbliche Amministrazioni;
  • le università private, comprese le filiazioni di università straniere, gli istituti pubblici di
    ricerca, le società pubbliche che favoriscono la ricerca e l’innovazione;
  • gli enti privati di ricerca e lavoratori chiamati a compiere attività di insegnamento, di ricerca scientifica o tecnologica, di trasferimento di know-how, di sostegno all’innovazione, di assistenza tecnica alla stessa o di coordinamento e direzione della stessa.

Per essi valgono sostanzialmente le regole già vigenti, vale a dire quelle del decreto Dignità (DL n. 87 del 2018).

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