Bollette, paghiamo il nucleare per non averlo (ma lo abbiamo ancora)

Giorgia Bonamoneta

3 Luglio 2023 - 19:23

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Lo smantellamento delle centrali nucleari si paga in bolletta. Ecco come e perché paghiamo per un servizio in ritardo e che costa sempre di più.

Bollette, paghiamo il nucleare per non averlo (ma lo abbiamo ancora)

Tra le voci in bolletta ci sono anche quelli relative al finanziamento della messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi. Dopo il 1987, quando con un referendum gli italiani hanno deciso per la chiusura delle centrali nucleari, si tenta di trovare una locazione per i rifiuti radioattivi. Nel 1999 è nata la società pubblica incaricata di smantellare nucleari e di mettere in sicurezza i rifiuti radioattivi. La Sogin avrebbe dovuto finire i lavori nel 2019, ma siamo nel 2023 e in molti casi la messa in sicurezza dei materiali radioattivi non è ancora iniziata. Costo di questa operazione non conclusa? 3,7 miliardi di euro pagati tramite la bolletta elettrica degli italiani.

Non solo i lavori non sono conclusi e li stiamo pagando noi, ma per ogni anno di ritardo è previsto un aumento dei costi. È stato calcolato che per finire i lavori saranno necessari altri 13 anni e almeno 120 milioni di euro per ogni anno di ritardo. Alla conclusione dei lavori la spesa complessiva di questi sarà di quasi 8 miliardi di euro. La verità è che non è realisticamente possibile stimare i costi, che secondo alcuni saranno molto più alti.

Ma come è possibile che paghiamo ancora oggi un nucleare che non abbiamo, se non negli scarti e in centrali non più in uso? L’inchiesta di Milena Gabanelli per Dataroom ne ha delineato le responsabilità.

Messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi: pochi passi avanti e spese in crescita

In Italia non produciamo più energia da centrali nucleari, ma dire che non ci sono più è scorretto. La società pubblica Sogin -dal 1999 è incaricata di mettere in sicurezza i residui radioattivi e trovare un luogo dove stoccarli. Non è semplice e spesso i cittadini dei comuni scelti hanno iniziato delle vere proprie battaglie per evitare che questo accadesse vicino a loro. Di soluzioni alternative però ce ne sono e Paesi con centrali nucleari ci forniscono l’esempio, ma non è questo il punto.

Il problema è che in bolletta gli italiani pagano un servizio che non funziona: lo smaltimento e la messa in sicurezza di rifiuti di attivi. Questo lavoro sarebbe dovuto finire nel 2019, ma verosimilmente si concluderà nel 2036 secondo le stime di Sogin. Questo vuol dire che per oltre trent’anni in bolletta c’è stata e ci sarà una voce per un servizio che non sta funzionando molto bene.

Secondo l’inchiesta di Gabanelli la responsabilità dei ritardi nei lavori è dovuto al sistema stesso di gestione. Infatti la Sogin si vede cambiare dirigente ogni tre anni, con il governo che non nomina mai lo stesso e non permette di portare a termine i lavori. Da parte loro i dirigenti propongono piani di risoluzione degli obiettivi più facili, lasciando quindi i più complessi a chi verrà dopo di loro. “Di rinvio in rinvio si arriva così al disastro di oggi”, scrive il Corriere della Sera.

Quanto costa il nucleare in bolletta?

Che funzioni o meno Sogin è finanziata con le bollette elettriche. In media in un anno ogni contribuente spende 3,3 euro per smantellare e mettere in sicurezza i materiali nucleari. La tassa sull’atomo è inserita nella dicitura “oneri di sistema”, la stessa da cui provengono gli incentivi alle rinnovabili.

Tra il 2012 e il 2016 questa tassa invisibile ha generato 1,7196 miliardi di euro versati allo Stato e finiti in parte alla Sogin. Marco Vignola, responsabile del settore energia dell’Unione nazionale consumatori, ha commentato questo sistema di finanziamento, descrivendolo come “un modo per camuffare una tassa e farla pagare a tutti gli italiani, indipendentemente dal reddito e penalizzando le famiglie in difficoltà”.

Nello specifico gli oneri di sistema pesano il 19% in bolletta e la voce per il “decommissionig nucleare” arriva al 3,32%. La percentuale non è fissa, ma soprattutto non dovrebbe essere finanziata dagli italiani. Vignola infatti ha spiegato che un simile contributo andrebbe essere finanziato dalla fiscalità generale.

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